martedì, dicembre 26, 2006

Il punto su Atlético e Real.

ATLETICO MADRID: Merita davvero applausi questa squadra, perché essere riusciti ad arrivare alla sosta al quarto posto, obiettivo massimo ad inizio stagione, nonostante tutte le limitazioni, gli imprevisti di questi primi mesi e le evidenti carenze nel gioco, rappresenta già un gran successo per Aguirre.
Flagellato in una sola settimana dai gravi infortuni dei suoi due esterni titolari, prima il fondamentale Maxi Rodriguez (vero goleador occulto della squadra, già 3 gol per lui nelle 4 partite giocate) e poi l’ irrisolto Martin Petrov, Aguirre è stato costretto dalle circostanze a sperimentare: Galletti (molta quantità e grinta, un po’ meno qualità, dal “Hueso”), rincalzo naturale di Maxi, è diventato titolare fisso sulla destra del centrocampo, mentre sulla sinistra c’è stata prima la fugace apparizione del canterano Victor Bravo, poi la soluzione col doppio terzino (Pernia, deludente finora, terzino sinistro, e Antonio Lopez avanzato a centrocampo) e infine, nelle ultime due partite, la promozione di Jurado, per lungo tempo trascurato, come finto esterno sinistro che spesso e volentieri si accentra sulla trequarti, suo habitat naturale.
Al di là degli sconvolgimenti della formazione titolare, la costante di questo primo Atlético di Aguirre è risieduta nella tremenda difficoltà nell’ elaborazione della manovra. I colchoneros sono una squadra ben organizzata, con le linee molto ravvicinate come piace ad Aguirre, che ha subito pochi gol (12, come il Barcelona, subito dietro al Getafe, squadra meno battuta della Liga con solo 11 gol al passivo) e che, seconda solo al Barça in questa speciale classifica, riceve pochi tiri in porta (157 finora, subito dietro i 149 subiti dal Barça). E’ una squadra che fa grande quantità e che quasi sempre ha il possesso palla a favore (anche qui sta dietro soltanto al Barça, 402 minuti contro i 467 blaugrana), però il problema è che, a differenza del collettivo di superstelle di Rijkaard, questo possesso palla è di scarsissima qualità, il più delle volte orizzontale, impotente e privo di idee. Il problema è tanto semplice nella sua enunciazione quanto difficile nella sua soluzione: manca chi sappia far arrivare palloni puliti dal centrocampo agli attaccanti.
Tanta solidità da Luccin (mai convincente con la maglia dell’ Atlético come in questa stagione), tanto movimento da Maniche, tantissimi cross prevedibili dalla trequarti, ma il problema rimane irrisolto e spiega bene le maggiori difficoltà che l’ Atlético trova fra le mura amiche rispetto a quando gioca in trasferta: al Vicente Calderon trova meno spazi e quasi mai ha il contropiede a favore, anche perché spessissimo l’Atlético è passato in svantaggio in casa. Avversari ben chiusi evidenziano impietosamente le lacune creative dei colchoneros, non si tratta certo di una semplice curiosità statistica (dei 28 punti ottenuti finora, 13 in casa e 15 in trasferta).
Una soluzione potrebbe passare per l’inserimento convinto e definitivo fra i titolari di Jurado, l’unico della rosa in grado di fornire l’ultimo passaggio, ma il progetto per il momento si scontra con le preferenze tattiche di Aguirre, che non vuole un giocatore così gracile e difensivamente inesistente nel cuore del suo centrocampo (essendo disposto al massimo a far partire Jurado da una delle due fasce, in questo caso meglio da sinistra, perché ha più campo per rientrare col destro), e si scontra pure con gli stessi limiti di personalità del giocatore, uno dei talenti più puri del calcio spagnolo, ma ancora non pienamente consapevole di ciò.
Al di là di un’ inizio di stagione negativo e del solito scarso feeling col gol, stiamo secondo me assistendo alla vera esplosione di Fernando Torres (dopo la stagione 2003-2004, la sua migliore finora, in cui segnò il suo record realizzativo personale con 19 gol), davvero impressionante in alcune partite (su tutte, quelle con Sevilla, Villarreal, Espanyol, nonostante la sconfitta finale, e Getafe) nelle quali, remando contro corrente, ha trascinato di peso la sua squadra, creando il più delle volte occasioni dal nulla con quelle sue straordinarie percussioni partendo dalle fasce. Potrebbe definitivamente essersi assunto tutte le responsabilità implicate da quella fascia di capitano che porta al braccio, sempre che non gli si metta addosso eccessiva pressione sulle questioni meramente realizzative, che non sono il suo forte. Torres è un grande apriscatole, si deve partire da questo punto fermo, anche e soprattutto in chiave Nazionale (ergo, se gioca titolare deve avere sempre accanto una punta prolifica, cioè Villa, non deve fare la punta unica).
Accanto a Torres, cresce ed impara Aguero, protetto (magari con qualche panchina di troppo) da Aguirre, ancora da svezzare e con le sue buone lacune tattiche (senza palla non esiste), ma già in grado di mostrarci qualche sprazzo promettentissimo, come contro il Villarreal, il Barça e contro il Levante in Copa del Rey, lasciando da parte la brutta pagina del gol di mano al Recreativo. Mista fino a questo momento, frenato anche da un infortunio, è più servito come contrappeso per Aguero e come pedina tattica in alcune partite (sulla trequarti come guastatore contro il Real Madrid, come collegamento fra centrocampo e attacco nel secondo tempo col Barça) che altro.
La difesa, già benissimo attrezzata di suo, gode dell’ ottima organizzazione generale: il più continuo è Perea (partitaccia contro l’Espanyol a parte), mentre approfittando delle assenze prima di Pablo (deve ritrovarsi, il pubblico tra l’altro non gli ha ancora perdonato il flirt estivo col Real Madrid) e poi di Perea, si è fatto strada il giovane portoghese Zé Castro, in continua crescita di autorevolezza. Confermata, a parte il pessimo ruolino disciplinare, l’ affidabilità di Seitaridis, il peggiore dei nuovi acquisti finora è stato senza dubbio Costinha, segnalatosi più che altro come maldestro picchiatore.
Su grandi livelli Leo Franco, con l’exploit di Siviglia (due rigori neutralizzati col Betis) come ciliegina.


REAL MADRID: Il progetto giusto (nelle intenzioni, un po’ meno negli strumenti adottati) nel momento sbagliato. Un errore secondo me, in tempi di dominio blaugrana, puntare su un tecnico come Capello e sui relativi campioni affermati e avanti con gli anni.
Quest’ estate, con tanto potere economico a disposizione, era l’ occasione giusta per avviare una rifondazione e un ringiovanimento sistematico della rosa, magari con un tecnico emergente e più confacente ai canoni estetici storici madridisti come Schuster. L’arrivo invernale dei Gago, Marcelo e Higuain pare una mossa tardiva e forse poco ragionata, che probabilmente, in caso di risultati negativi quest’ anno, verrà scavalcata da un’ altra decina di decisioni in senso contrario.
Per ora siamo rimasti a un ibrido, una squadra sostanzialmente anonima, che vive di espedienti e si difende sostanzialmente con la sola forza del suo “marchio”. Senza uno straccio di gioco, agli avversari basta il più delle volte ripiegare ordinatamente e alzare un pochino il pressing per mandare in tilt il marchingegno (come l’ Atlético, il Real Madrid si trova meglio fuori casa che in casa propria: stesse motivazioni tattiche dei colchoneros, con l’aggiunta di pesanti condizionamenti psicologici che scattano quando si gioca al Bernabeu). Fortunatamente la qualità e la personalità di certi giocatori ha consentito il più delle volte di risolvere le partite sfruttando gli episodi, ora con i gol di Van Nistelrooy ora con un arsenale aereo estremamente temibile sui calci piazzati (Cannavaro, Ramos, Helguera, Diarra ed Emerson hanno regalato al Real Madrid il primato assoluto finora nei gol su azioni da calci piazzato, 6 in totale, senza dimenticare le botte da fuori di Roberto Carlos), ma, per l’ appunto, solo di questo, di episodi, si è trattato: troppo facile accorgersene quando il Recreativo monta un umiliante torello al Bernabeu, bisognava pensarci già nelle partite con Nàstic, Racing e Osasuna, senza fermarsi alla sola lettura del risultato finale.
Principale punto debole del progetto è un centrocampo costruito davvero male: a cominciare dalla coppia Emerson-Diarra, fiore all’ occhiello di un undici costruito sulla base di una malintesa concezione degli equilibri di una squadra: un’ utopia difensivista secondo la quale basta aggiungere mastino a mastino, marcantonio a marcantonio, doppione a doppione per diventare automaticamente imbattibili e impenetrabili. Che importa se la squadra si spezza in due tronconi, se gli attaccanti (inadatti tra le altre cose al contropiede, limitazione grave per una squadra “cinica”) restano isolati perché Diarra ed Emerson non sanno impostare, tanto c’è la Diga!
Diga che da irrinunciabile caposaldo delle strategie di Capello nelle ultime giornate è stata accantonata, anche sotto i colpi delle crisi di spogliatoio. Diarra (sacrificato qualche metro più avanti in lavori di impostazione e di propulsione che non sono i suoi: dovrebbe giocare lui davanti alla difesa come faceva a Lione, non Emerson), colto a criticare Capello nel famoso “fuori onda” con Cassano, non è stato nemmeno convocato contro il Recre.
Ma anche l’arretramento di Guti vicino a un solo incontrista come Emerson, non ha elevato la qualità del gioco, e su questo pesano molto le colpe di un talento sostanzialmente inespresso come il biondo canterano. Davanti a se aveva un’ occasione irripetibile, visto che non sono presenti altri giocatori con le sue caratteristiche, in grado di collegare centrocampo e attacco, nella rosa di Capello, ma la sta sciupando, certo tartassato dagli avversari (che sanno che fermando lui, con le buone o le cattive, annulli tutta la manovra madridista) ma limitato in primo luogo da lacune di personalità e di continuità che non lo rendono all’ altezza del compito.
Ma sarebbe ingiusto valutare il Real Madrid solo dal punto di vista della qualità del gioco, perché Capello non è un venditore di fumo e a nessuno ha mai promesso un circo. Chi prende Capello cerca prima di tutto equilibri, solidità difensiva ed efficacia. Ma valutandolo anche da questo più corretto punto di vista il suo Real Madrid finora non ha certo esaltato: i 14 gol incassati sono pochi, ma troppo spesso il gran Casillas ci ha dovuto mettere la pezza.
Il Real Madrid ha subito finora 179 tiri in porta, più ad esempio di Osasuna, Athletic, Recreativo e Barcelona, e non è nemmeno la squadra che ruba più palloni (lo è il Celta). Non certo una squadra blindata: la Diga è rimasta finora un discorso sulla carta, Emerson si è trovato più a correre dietro agli avversari che a imporre la sua legge e la difesa, a parte un Sergio Ramos sempre esuberante (a volte anche troppo) che, sia da centrale che da terzino destro, prosegue positivamente la sua ascesa, non ha mai dato reale sicurezza (a parte la seconda metà di Siviglia e la trasferta con l’Espanyol, poi però sonoramente smentite dalla figuraccia col Recreativo).
Inevitabile parlare di Cannavaro: molto deludente questo suo avvio madridista, segnato da alcuni picchi incredibilmente negativi come le partita col Lione in Champions o la già storica performance col Recreativo. Molti i motivi: una forma imperfetta, con qualche acciacco ricorrente, un po’ di appagamento post-mondiale, la necessità di adattarsi a un calcio molto diverso da quello italiano, nonostante l’ allenatore resti lo stesso, e, non ultima, l’ enorme differenza fra una competizione che si esaurisce in poche partite come il Mondiale e una Liga+Champions molto più logorante per un giocatore di 33 anni. Helguera, ingiustamente emarginato per questioni non eminentemente tecniche (anche se la sua ultima stagione era stata pessima) si era riguadagnato il suo posto facendo appello a tutta la sua professionalità ed esperienza, ma un infortunio lo ha di nuovo ricacciato dietro le quinte.
L’ attacco vive di quel poco che la squadra riesce a produrre (209 tiri, meno di Atlético, Sevilla, Celta, Zaragoza, Mallorca e Barça) e in più occasioni se l’ è cavata egregiamente, con percentuali in alcuni casi vicine in maniera inquietante al 100%, come il mostruoso Van Nistelrooy di Pamplona (ma anche a Valencia contro il Levante e al Montjuic con l'Espanyol l’olandese non ha scherzato), meno mobile l'olandese di un tempo ma sempre capace di trovare il gol in qualsiasi situazione. Incoraggianti segnali da Ronaldo, in via di dimagrimento e comunque sempre in grado di incutere visibilmente terrore alle difese avversarie quando prende palla al limite dell’ area e terribilmente sicuro nella finalizzazione.
Il merito maggiore di Capello finora è senza dubbio rappresentato dal recupero di Raul, per me non ancora all’ altezza di un ritorno in nazionale ma sicuramente più entusiasta e fiducioso, anche nel semplice contatto col pallone (col quale aveva perso familiarità, dico sul serio). Come nella sua passata esperienza al Real Madrid, Capello lo vede meglio partendo da esterno, e non ha torto, perché Raul non può più lottare da pari a pari in area di rigore e non ha mai avuto la tecnica del trequartista. Partendo defilato (senza ovviamente che gli venga chiesto di dribblare come un’ ala) e da lontano, può arrivare nell’ area avversaria a fari spenti ed esaltarsi come ai vecchi tempi e come ha fatto contro Atlético, Barça e Valencia. Anche quando non era in forma l’ impegno non mancava, e Raul resta sempre il madridista di gran lunga più dedito alla causa, quello che macina più chilometri, che copre sempre i compagni e che non si ferma mai una volta che perde il pallone.
Una delle delusioni principali son stati gli esterni: Robinho, che di ruolo è una seconda punta, dopo due partite sensazionali contro Steaua e Barça, si è progressivamente spento, mentre Reyes, promettente all’ inizio, non è uscito da quella dimensione di talento inespresso che ancora lo attanaglia. Beckham non lo commento nemmeno.
Cassano un fuoco di paglia ad inizio stagione, poi si è fregato da solo: fa cadere le braccia che si sia giocato tutto il credito che aveva con Capello, uno dei pochi allenatori con cui andava d’ accordo. A meno che Fascetti non vada ad allenare il Madrid, difficile pensare per lui ad un futuro in maglia merengue diverso rispetto a quello di showman.

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sabato, dicembre 23, 2006

Gago, Higuain e Marcelo: gli uomini della provvidenza?

Con la presentazione di Gago dell' altro giorno, ultimo fiammante acquisto madridista per 20 milioni di euro, il Real Madrid ha concluso l'operazione di restyling avviata già un paio di mesi fa con l'acquisto di Marcelo dal Fluminense e proseguita con l'ingaggio dell' altro grande talento argentino, Gonzalo Higuain del River Plate.
Un' operazione sicuramente necessaria e sulla carta ben ponderata, perchè la rosa (ancora eccessivamente infestata da ex-galacticos e affini e ulteriormente appesantita dai poco lungimiranti acquisti estivi di Capello) andava assolutamente svecchiata e perchè questi sono fra i giovani più promettenti del calcio sudamericano e mondiale.
Però va detto chiaramente che sono innesti che non potranno certo produrre effetti rivoluzionari a breve termine, perchè, per quanto talentuosi possano essere, si tratta di tre ragazzi appena maggiorenni (Gago 20 anni, Higuain 19, Marcelo 18) che necessitano oltrettutto di tempo per adattarsi al calcio europeo. Innesti di qualità, ma che non rimuovono una certa sensazione d'improvvisazione che circonda questo nuovo corso del Real Madrid: sarebbe stato sicuramente più appropriato avviare questo ricambio generazionale già in estate, per non correre il rischio che questa, fra vecchi draghi, presenze fugaci e "giovani fenomeni", si riveli un'altra inutile stagione di transizione, nella quale peraltro non è assente il rischio che tanti talenti, compresi questi nuovi arrivati, possano venire bruciati. La sensazione di improvvisazione la regala un Calderon spendaccione e contraddittorio nelle sue iniziative, che a molti sembra una riedizione in versione merengue di Gaspart, uno dei peggiori presidenti della storia del Barcelona, demagogico e pasticcione come pochi.
Basta un Superclasico da fenomeno perchè Higuain diventi obiettivo imprescindibile senza preoccuparsi più di tanto dei costi: col River si è partiti da 7 milioni di euro per arrivare tranquilli a 13 milioni, mentre per Gago ci si è piegati senza colpo ferire alla volontà di Macrì, nonostante i 20 milioni di euro sborsati alla fine non rientrassero certo nelle previsioni iniziali. Questo suggerisce un parallelismo con le operazioni che il Barça effettuò nell' estate 2001, dragando il mercato delle promesse soprattutto sudamericane e arrivando a spendere una barca di denaro per i vari Saviola, Christanval, Rochemback e Geovanni, investimenti economicamente disastrosi. Anche Calderon (e i suoi collaboratori) mostra mani bucate e una certa propensione a spendere secondo l'eccitazione del momento. Il dubbio è che questi acquisti non costituiscano punti fermi di un progetto chiaro e a lungo termine, ma nomi da dare in pasto ai tifosi e subito rimpiazzabili da altri "sogni" e "nuovi fenomeni" non appena le prestazioni si rivelino inferiori alle aspettative.

Gago dei tre era l'acquisto più necessario: in un centrocampo assolutamente privo di un' idea e di uno stile da imporre indipendentemente dall' avversario e dalle situazioni contingenti, penalizzato dall' assurdo binomio Emerson-Diarra e legato mani e piedi agli estri dell' inaffidabile Guti (che in realtà non è un regista, ma è l'unico che nel centrocampo madridista, assieme a De la Red, sappia dare un passaggio a più di tre metri), l' acquisto di un classico "5" alla sudamericana come Gago rappresenta una mossa di estremo buonsenso.
Dipinto inevitabilmente come il nuovo Redondo, rispetto all' ex icona madridista mi sembra però che possieda un pochino meno tecnica e un po' più di aggressività. C'è un' estrema confidenza fra lui e il pallone, domato con assoluta eleganza e difeso dagli attacchi avversari quasi sempre con successo, grazie anche alla padronanza che mostra nel controllarlo con la suola (quella che in Argentina chiamano pisada, letteralmente "pestata") e con l'esterno.
Giovanissimo ma già leader in grado di gestire a piacimento i ritmi della manovra, la marcia in più dei giocatori come lui risiede nel fatto che prima ancora di ricevere il pallone hanno già elaborato la giocata successiva e che possono indifferentemente giocare ad uno-due tocchi, rallentare o velocizzare il gioco, scambiare corto o lanciare lungo senza però perdere mai la precisione. Strepitoso poi quando verticalizza all' improvviso e in un batter d'occhio smarca il compagno davanti al portiere avversario (situazione che gli riusciva a meraviglia con Palacio, punta verticale e velocissima, caratteristiche sicuramente diverse da quelli degli attaccanti madridisti).
Sempre in movimento, una volta giocato il pallone preferisce generalmente seguire l'azione e chiedere triangolo (deve però migliorare il tiro, volendo potrebbe segnare più gol) piuttosto che mantenere la posizione e questo, unito al fatto che in fase di non possesso corre un po' troppo dietro al pallone senza badare granchè alla sua zona, suggerisce di affiancargli un centrocampista più tattico e difensivo in grado di coprirne le avanzate e limitare gli scompensi tattici generali. Anche se nel Boca ha sempre agito da vertice basso davanti alla difesa, sia nel 4-3-1-2 di Basile che nel 3-5-2/3-4-3 di La Volpe, non è mai mancato il Battaglia o il Ledesma della situazione che assicurasse certi equilibri, così come Gattuso fa nel Milan quando Pirlo svaria.
Il posto per Gago nell' undici titolare è presto ritagliato: si leva uno fra Emerson e Diarra (io ovviamente terrei Diarra, ma non è certo lui il cocco di Capello...) e il gioco è fatto.

Marcelo è un' operazione più a lungo termine di Gago: acquistato ai primi di Novembre, dovrebbe giocare questa seconda metà di stagione nel Castilla in Segunda Division per preparare il salto in prima squadra l' anno prossimo. Questo a meno che Gago non diventi subito comunitario liberando un posto per Marcelo e sempre che il Real Madrid non accetti le richieste di prestito formulate da varie società per il brasiliano, su tutte il Zaragoza.
Giovanissimo ma non certo uno sconosciuto Marcelo, destinato a raccogliere l'eredità di Roberto Carlos non solo nel Real Madrid ma anche nella Seleçao, dato che Dunga lo ha già convocato più volte, facendolo esordire nel match contro il Galles in cui Marcelo ha trovato addirittura il gol con uno splendido sinistro da fuori.
Si tratta del più classico dei laterais brasiliani, terzino mancino ultraoffensivo: finora ho avuto modo di osservarlo solo in un paio di partite, per cui si tratta solo di un' impressione sommaria, ma saltano subito all' occhio la grande velocità (comunque minore rispetto a quella del miglior Roberto Carlos) e la tecnica raffinatissima (qui è forse anche più dotato di Roberto Carlos), che ha fatto addirittura pensare al suo allenatore nel Fluminense di convertirlo in trequartista, posizione nella quale però avrebbe corso maggiormente il rischio di diventare uno dei tanti (tipo Alex e Marcelinho Paraiba, grandi giocolieri e idoli assoluti nei loro club, ma schiacciati dall' insostenibile concorrenza che si trova di fronte ogni numero 10 che nasce in Brasile).
Sinistro potente (anche se meno di quello di Roberto Carlos) e al tempo stesso calibrato, Marcelo deve ovviamnete limare alcuni aspetti del suo gioco: la solita (per i terzini brasiliani) fase difensiva e il gioco senza palla: piuttosto anarchico, preferisce portare a spasso il pallone e intestardirsi in azioni individuali piuttosto che chiedere triangolo e scattare in profondità, cosa che di sicuro aumenterebbe notevolmente l'efficacia del suo gioco.

Higuain non era un acquisto indispensabile, per una serie di motivi che prescindono dalle interessanti qualità del giocatore. Il franco-argentino da trequartista in origine è diventato una seconda punta abbastanza classica, abituato a svariare attorno al centravanti partendo soprattutto dalla fascia sinistra. Tecnicamente dotatissimo, abilissimo negli scambi di prima, ha però anche un buon fisico, freddezza e opportunismo in zona-gol.
Però non è da tanto che gioca fra i professionisti e probabilmente avrebbe avuto bisogno di altro tempo per maturare. Difficilmente potrà fare la differenza in questa seconda parte di Liga e difficilmente troverà spazio come titolare, dato che il suo ruolo spesso non figura nel 4-2-3-1 di Capello e che anche se il tecnico madridista decidesse di passare stabilmente alle due punte, prima di tutto penserebbe al tandem Van Nistelrooy-Ronaldo, senza dimenticare seconde punte di ruolo come Robinho e Cassano.

Ma al di là di queste considerazioni puntuali, viene da farsi una domanda: che cosa se ne fa il Real Madrid del suo settore giovanile? Uno dei migliori vivai di tutta la Spagna, l' unico che può vantarsi di avere la squadra B in Segunda Division, sembra servire soltanto per preparare talenti che andranno a fare fortuna altrove o, nella peggiore delle ipotesi, finiscono bruciati dalle scarse possibilità loro offerte.
Un caso come quello di Rubén De la Red, 21enne canterano volgarmente trascurato da Capello (a parte spezzoni in Copa del Rey, con un gran gol, e l'ininfluente partita di Champions con la Dinamo Kiyv), è emblematico: Gago è un grande talento, senza dubbio, ma la primissima differenza fra lui e De la Red è che l'argentino nel Boca ha avuto l'opportunità di diventare titolare già a 18 anni. A parti e nazionalità invertite, probabilmente sarebbe Gago quello che marcisce nella seconda squadra e De la Red il "nuovo fenomeno".
Ancora più domande le solleva l' ingaggio di Higuain: se l' innesto di Gago risponde a una reale carenza dell' attuale Real Madrid, l'arrivo di un' altra seconda punta giovane come Higuain non può che incidere negativamente sulle chances future di un talento cristallino come Juan Manuel Mata, che se fosse sudamericano probabilmente giocherebbe già in nazionale. Mata gioca attualmente nel Castilla (soprattutto come ala sinistra nel tridente di Michel) e sta facendo grandi cose in Segunda, capocannoniere al momento della sua squadra con 6 gol.
Ne ho già tessuto le lodi parlando della Spagna Under 19 campione d' Europa, e il Real Madrid sta cercando ora di evitare che possa mettersi d'accordo con altre squadre già dal prossimo mese, però i dirigenti potranno pure spendersi in tutte le raccomandazioni verbali e le lusinghe economiche di questo mondo, ma se i segnali sono questi (con Capello che non ha mostrato finora il benchè minimo interesse verso di lui) le offerte di Lione, Chelsea e Liverpool resteranno sempre e comunque più attraenti per Mata.
Mata e De la Red però son solo la punta dell' iceberg: anche Borja Valero, giocatore che come De la Red se non fosse del Madrid sarebbe già titolare in una buona metà delle squadre della Liga, passati già i 20 anni rimane ancora nel Real Madrid B, così come per Bueno, Granero e Adrian Gonzalez (esterno sinistro di centrocampo figlio di Michel) le opportunità future in maglia merengue si preannunciano scarsissime.

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venerdì, dicembre 22, 2006

SEDICESIMA GIORNATA: ALTRE PARTITE (giocate Mercoledì).

Sevilla-Deportivo 4-0: Kanouté 28'; Kanouté, rig. 64'; Luis Fabiano 67'; Daniel Alves 74'.

Racing-Villarreal 2-1: Rubén 48' (R); Colsa 63' (R); Marcos 86' (V).

Getafe-Espanyol 0-1: Tamudo 74'.

Celta-Real Sociedad 0-0

Nàstic-Betis 0-1: Assunçao, rig. 65'.

Osasuna-Levante 2-1: Cruchaga 59' (O); Soldado 69' (O); Nino 93' (L).


Giocate Martedì:

Valencia-Mallorca 3-1: Vicente 38' (V); Villa 56' (V); Morientes 82' (V); Jonas, rig. 87' (M).

Athletic Bilbao-Zaragoza 0-0


Il Sevilla chiude festosamente l'anno più straordinario di tutta la sua storia. Devastato un Depor in caduta libera, nessuna pietà per il vecchio amico Caparros, applaudito e incitato con cori di sostegno (che invitavano il presidente del Deportivo a non licenziarlo) dai Biris, i tifosi del Sevilla.
Kanouté ha già sfondato clamorosamente la bassa media gol di tutta la sua carriera precedente, Daniel Alves è in pieno delirio tecnico: punizione pennellata e cappello da Babbo Natale per festeggiare (non è solo tecnico il delirio).
Villarreal sempre più deludente, Racing e Osasuna sempre più in alto. Nonostante la vittoria nella pessima partita col Nàstic, Irureta ha dato le dimissioni. Non ce la faceva più, incapace di dare una fisionomia chiara alla sua squadra e travolto dall' improvvisazione e dall' incertezza assolute impadronitesi della società, in questo momento la faccia triste del calcio sivigliano.
Dispiacere per un grande allenatore come lui ma potrebbe anche subentrare anche la speranza, se solo ci fosse una Federazione pronta a cogliere l'occasione. Basta fare due più due: dunque, la Nazionale fa schifo, il C.T. è stra-sfiduciato, la situazione è a rischio, Irureta, un allenatore vero, è libero da impegni...
Il Getafe accusa sempre di più le sue carenze offensive, e ne approfitta l'Espanyol che riprende la sua marcia. Il Celta proprio non riesce a vincere in casa, neppure contro la Real Sociedad, e il portiere Claudio Bravo e due pali colpiti rispettivamente da Jorge e Baiano ci mettono del loro.


CLASSIFICA

1 Sevilla 37
2 Barcelona 34 (una partita in meno)
3 Real Madrid 32
4 Atlético 28
5 Zaragoza 27
6 Valencia 27
7 Recreativo 25
8 Osasuna 23
9 Getafe 22
10 Espanyol 22
11 Villarreal 22
12 Celta 21
13 Racing 21
14 Mallorca 17
15 Deportivo 17
16 Athletic 15
17 Levante 15
18 Betis 13 (una partita in meno)
19 R. Sociedad 10
20 Gimnàstic 8




CLASSIFICA CANNONIERI

1 Kanouté 14
2 Ronaldinho 12
3 Diego Milito 11
4 Van Nistelrooy 9
5 Fernando Baiano 8

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SEDICESIMA GIORNATA: Barcelona-Atlético Madrid 1-1: Ronaldinho (B); Agüero (A).

Per il Barça, un mezzo passo falso e un’ occasione persa se si vede il bicchiere mezzo vuoto; un punto guadagnato sul Real Madrid (contro un avversario tradizionalmente difficile e in condizioni non ottimali) se si vede il bicchiere mezzo pieno. La pausa giunge più che mai opportuna per Rijkaard, visto che i suoi, dopo un buon primo tempo, hanno terminato la partita col fiatone. L’Atlético Madrid, facendo appello al coraggio nel secondo tempo, conserva il quarto posto fino al prossimo anno, risultato non certo attesissimo nei momenti in cui la rosa si sfaldava infortunio dopo infortunio.

Rijkaard deve fare a meno, chi per acciacchi chi per affaticamento, di Zambrotta, Gio, Marquez, Sylvinho ed Edmilson ed è costretto quindi ad inventarsi una difesa che vede la curiosa presenza di Oleguer sulla fascia sinistra. Giuly non è indisponibile ma resta in panchina per scelta tecnica e così, soluzione ripescata quest’anno da Rijkaard dopo averla adottata già nella Liga 2004-2005, va Iniesta a completare il tridente, ala destra più finta che mai in un modulo che in realtà si avvicina molto di più a un 4-4-2, senza posizioni fisse da metacampo in su a parte quella di Motta davanti alla difesa.
Necessariamente carente di spinta sulle fasce, col solo Belletti ad attaccare sulla destra (perché Oleguer già è brocco di suo e giocando, lui che è destro, a sinistra, ancora più difficilmente può sovrapporsi), il Barça però funziona con questa specie di minestrone cui dà vita sulla trequarti: Iniesta parte da destra per svariare su tutta la trequarti, Xavi gli si associa con successo, Deco fa il suo solito lavoro e anche Ronaldinho si accentra spesso e volentieri per rifinire.
Aguirre, che ha confermato Jurado dopo la discreta prestazione col Getafe, pianta come prevedibile le sue due linee ravvicinate con pressing sul portatore di palla per ingolfare il motore blaugrana e facilitare le micidiali sgroppate in contropiede di Torres, però la verità è che il piano non gli riesce granchè. Il Barça è ben messo, ha la superiorità numerica a centrocampo e monopolizza il possesso del pallone. Se non può creare tanti pericoli dalle ali, arriva al tiro appoggiando direttamente su Gudjohnsen, con l’islandese che fa da sponda e favorisce gli inserimenti dei centrocampisti. Deco una volta e Xavi due (una di testa) impegnano Leo Franco, confermando però che lo scarso contributo realizzativo dei centrocampisti resta una delle lacune di questo Barça (soprattutto Xavi e Iniesta, formidabili nel nascondere il pallone ma scarsini nel tiro).
Il gol però arriva con l’ormai solita punizione di Ronaldinho, procurata da un Iniesta che palla al piede è sempre una tremenda seccatura. Ormai fra Ronaldinho e i portieri avversari si è scatenata una sorta di battaglia psicologica: dopo aver segnato sul palo lungo contro il Zaragoza e dopo essersi inventato la punizione sotto la barriera contro il Werder, stavolta frega Leo Franco sul suo palo, facendo leva sia sulla crescente fiducia nella propria abilità da fermo sia sull’ incertezza che inevitabilmente coglie i portieri avversari di fronte a un repertorio così ampio. Gran momento per i padroni di casa, che potrebbero pure chiudere il conto se Gudjohnsen, smarcato da un assist di petto (!) di Ronaldinho, non si incartasse al momento della deviazione volante.
Nell’ intervallo Aguirre si rende conto che occorre cambiare qualcosa, perché il suo Atlético non riesce né ad ingabbiare gli avversari né a inquietarli di rimessa (un tiro fuori di Maniche in avvio e una punizione centrale di Antonio Lopez il misero bilancio). Quindi, fuori un titubante Jurado e dentro Mista, cambio apparentemente spregiudicato ma che invece bilancia meglio la squadra. Mista va a fare da enganche fra centrocampo e attacco e la mediana dell’ Atlético si restringe e si compatta, andando a comporre più un 4-3-1-2 che un 4-4-2 classico. Nulla di trascendentale, perché anche all’ inizio del secondo tempo il Barça sembra avere un discreto controllo della situazione, però, inaspettato e non proprio meritatissimo, arriva il gol del pareggio: Luccin, cresciuto col passare dei minuti, vede il varco giusto e allora i blaugrana si accorgono sulla loro pelle che Agüero era effettivamente fra i 22 in campo, perché il Kun scappa sul filo del fuorigioco a Puyol e con naturalezza disarmante fulmina Valdés con l’esterno.
La reazione del Barça, perlomeno con l’orgoglio, c’è, però cominciano a mancare le energie e a crollare vistosamente la lucidità. Rijkaard approfitta dell’ infortunio occorso a Thuram nell’ occasione del pareggio per inserire Giuly e arretrare Motta al centro della difesa (meglio qui che da “pivote”, dove si è beccato l’immancabile cartellino giallo), con Iniesta che torna a fare la mezzala accanto a Xavi e Deco.
Squadre lunghe ora, date le tre punte dell’ Atlético e la stanchezza del Barça, peraltro meno protetto coi tre piccoletti a centrocampo. Rijkaard, dopo averlo già proposto nel finale di Yokohama, trova modo di deliziarci ancora con il cambio Gudjohnsen-Ezquerro, quando la logica avrebbe piuttosto suggerito l’ingresso di Saviola (Rijkaard a fine partita dirà che l’argentino, appena reduce dall’ infortunio, non era ancora pronto per giocare, nonostante fosse a disposizione in panchina). Sempre molto possesso-palla per il Barça, ma l’arrosto è poco.
In generale, manca in questo momento concretezza sotto porta: tanto volume di gioco produce relativamente poche occasioni perché manca il killer: Gudjohnsen è inappuntabile come arma tattica e come boa, però in ogni partita arriva al tiro molte poche volte e la sua alternativa principale attualmente è Ezquerro, che proprio per la sua poca freddezza anni fa aveva cambiato la sua posizione da quella di centravanti a quella di esterno o seconda punta comunque di manovra.
Certamente i sostituti si son comportati finora in maniera egregia e i gol sono arrivati in quantità, però l’assenza di Eto’o proietta la sua ombra al di là del mero dato numerico: il camerunese oltre ai gol permette una marea di possibili soluzioni tattiche (pressing alto, attacchi in campo aperto, appoggi sulle fasce…) e condiziona le difese avversarie destandovi grande allarme. Comunque, con o senza Eto’o, il Barça l’occasione buona la crea, ma Ezquerro, smarcato da un gran velo di Deco, la sciupa tirando a lato dopo essersi liberato per il sinistro.
Non succede più nulla fino alla fine, con la salda difesa dell’ Atlético che, soprattutto con le chiusure di un autorevole Zé Castro, sventa gli ultimi attacchi dei padroni di casa, affidati soprattutto agli scatti di Giuly, e con un Barça che non ha successo nei suoi tentativi, davvero poco sportivi, di mettere sotto pressione l’arbitro Medina Cantalejo invocando ora il calcio di rigore ora il cartellino per gli avversari (e invece le ammonizioni se le son beccate Deco e Ronaldinho, che salteranno per squalifica la prossima col Getafe, così come Luccin e Maniche salteranno la partita col Nàstic, inguaiando parecchio Aguirre a centrocampo).

I MIGLIORI: Non ha quella brillantezza e quello spunto che gli permettono di bruciare l’avversario nell’ uno contro uno (se notate, quando ha l’avversario di fronte sulla fascia, preferisce arrestarsi e cercare l’assist, perché se prova ad aggirarlo per andare sul fondo, quasi sempre viene recuperato), però anche da fermo e non al massimo della forma Ronaldinho ha ormai assunto un peso e un’ incisività eccezionalmente determinanti, dato che una tecnica simile non va certo via col poco allenamento o il fuso orario. Altro gol su punizione, specialità nella quale tempo fa lasciava parecchio a desiderare e che col tempo ha affinato fino a diventare un cecchino. Poi, quell’assist di petto per Gudjohnsen è stato non solo meraviglioso esteticamente, ma anche di un’efficacia geniale, perché solo con quel colpo poteva bucare la difesa e smarcare il compagno. Qualunque altro giocatore avrebbe messo la palla giù e pensato dopo al da farsi, dando nel mentre il tempo di piazzarsi alla difesa avversaria, ecco la differenza fra Ronaldinho e i giocatori normali.
Ronaldinho il mago, Xavi senza dubbio il migliore nel complesso. Lavoro enorme e di grande qualità: nel primo tempo, scambia spesso la posizione con Iniesta, col quale dialoga di prima e in spazi stretticon grande facilità. Sempre l’appoggio più sicuro per i compagni, un vero peccato la panchina nelle ultime partite per un campione come lui. Anche Iniesta, a fronte di un Deco un po’ alterno e talvolta svagato, trascina la squadra, creando patemi all’ Atlético col suo movimento continuo sulla trequarti e facendo sfoggio della consueta disarmante sicurezza col pallone fra i piedi.
Ottimi i centrali dell’ Atlético: in progressiva crescita Zé Castro, giovane centrale portoghese davvero interessante per la personalità, l’agilità e le chiusure coraggiose e pulite. Due stagioni fa Pablo giocò al Camp Nou (grande 0-2 in contropiede dell’ Atlético) una delle sue migliori partite da colchonero: da un po’ di tempo mostra difficoltà, ma ieri è stato una sicurezza in quasi tutti i suoi interventi, ottimi anticipi e letture azzeccate sulle chiusure.
Agüero ha davanti a sé due possibili modelli: Saviola e Romario. Ripercorrere le orme del primo significherebbe non essersi adattato al meglio al calcio europeo, imitare il secondo significherebbe dare ragione a Menotti che lo definì proprio “Romarito”: ieri una partita un po’ da Baixinho, totale latitanza fino alla zampata dell’ 1-1. Gol d’autore, non da tutti: tocco d’esterno con la nonchalance degli attaccanti più spietati. Gol tipico del Kun, che ha tutto il tempo davanti a sé e per il quale questa stagione deve essere prima di tutto d’ambientamento, senza che nessuno gli chieda miracoli da salvatore della patria (intanto, contro il Levante, ha già mandato avanti l’Atlético in Copa del Rey, con un’ altra perla del suo repertorio più classico: difensore messo a sedere e rasoiata imparabile sul secondo palo).
Luccin cresce visibilmente nel corso della partita, e serve ad Agüero l’assist dell’ 1-1. Sicuramente uno dei giocatori più continui ed importanti dell’ Atlético quest’anno.
I PEGGIORI: Torres stavolta non veste i panni del Distruttore. Se lo aspettavano in molti, dati i precedenti e date le condizioni tattiche favorevoli alla sua velocità debordante. Invece, solo qualche piccolo accenno ad inizio partita, per il resto tanta corsa e sacrificio ma senza acuti. Jurado un po’ timido, fallisce una buona occasione per farsi spazio, dato che Aguirre non è molto generoso con lui, ritenendolo troppo gracile e poco compatibile col suo 4-4-2. E’ un talento potenzialmente formidabile, però, arrivato un paio di volte al limite dell’ area blaugrana, non incide, forse un po’ sopraffatto dal “miedo escenico”. Tanta corsa a vuoto e poche idee per Galletti.
Puyol non gioca male in generale, però è lui che sbaglia il fuorigioco e apre la strada ad Agüero sull’1-1. Poco mordente e scarsa reattività da Gudjohnsen, scarso peso da Ezquerro che non può fare l’uomo-gol (il cambio non l’ho condiviso anch’io, però che il pubblico lo fischi al primo pallone toccato è davvero ingiusto e sgradevole).


Barcelona (4-3-3): Valdés 6; Belletti 6, Thuram 6 (60'), Puyol 5,5, Oleguer 6; Xavi 7, Motta 6, Deco 6; Iniesta 7, Gudjohnsen 5,5 (67'), Ronaldinho 7.
In panchina: Jorquera, Olmo, Crosas, Giuly 6 (60'), Saviola, Ezquerro 5,5 (67')
Atlético (4-4-2): Leo Franco 5,5; Seitardis s.v. (19'), Pablo 7, Zé Castro 7, A. López 6; Galletti 5 (85'), Maniche 5,5, Luccin 6,5, Jurado 5,5 (46'); Agüero 7, F. Torres 5,5.
In panchina: Cuéllar, Valera 6 (19'), Azcárate, Pernía s.v. (85'), Gabi, Víctor Bravo, Mista 6 (46')
Goles: 1-0 (41'): Ronaldinho, de falta por el poste del portero; 1-1 (59'): Agüero marca tras un gran pase de Luccin.
Árbitro: Medina Cantalejo, del Colegio Andaluz. Amonestó a Seitaridis (7'), Belletti (19'), Motta (25'), Luccin (47'), Maniche (51'), Mista (70'), Deco (70'), Galletti (81') y Ronaldinho (93'+).
Incidencias: Camp Nou. 53.685 espectadores. Minuto de silencio por los seguidores del Recre fallecidos.

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giovedì, dicembre 21, 2006

SEDICESIMA GIORNATA: Real Madrid-Recreativo 0-3: Sinama Pongolle; Uche; Viqueira.

Stavolta il copione è coerente: Il Recreativo gioca, il Recreativo stravince. Non c’è il gol inventato dal nulla di Van Nistelrooy, non c’è la zampata di Ronaldo, non c’è la “mano santa” di Iker. Emergono in tutta la loro crudezza, in una maniera magari fin troppo caricaturale, tutti i limiti e le ambiguità di questo Real Madrid. Limiti che non tiro fuori certo adesso, ma che già si potevano intuire quest’estate (se vi va, potete rileggervi il post di presentazione che scrissi ad inizio settembre), se si lasciavano da parte tutti i luoghi comuni e i dogmi sull’ infallibilità di Capello.
Quello che rimane è la monumentale, storica lezione di calcio con cui il Recreativo profana il Bernabeu: i super-organizzati andalusi se ne infischiano del nome dell’ avversario, pressano come indemoniati, due-tre alla volta, a centrocampo e anche al limite dell’ area del Real Madrid, passando in tutti i primi 45 minuti quasi più tempo nella metacampo avversaria che nella loro. Sicurezza nel palleggio e automatismi oliati che, col continuo movimento di centrocampisti e attaccanti (sempre pronti però a ricomporre lo schema di partenza una volta persa palla), mandano in tilt un Real Madrid imbarazzante.
Quel geniaccio che risponde al nome di Emilio Viqueira orchestra in regia, Cazorla si segnala per i soliti insidiosissimi tagli fra le linee, i “velociraptor” Uche e Sinama Pongolle si incaricano, coi loro incroci e i loro affondo, di distruggere il fragilissimo dispositivo difensivo di Capello (che non ha neppure convocato Diarra, “ribelle” in punizione assieme al solito Cassano). Proprio Sinama Pongolle ridicolizza un Cannavaro terribilmente fuori tempo nell’ intervento e col sinistro fulmina Casillas per lo 0-1.
Reazioni dal Real Madrid? Mah, quando non lanciano lungo gli uomini di Capello si perdono in snervanti serie di passaggi orizzontali fra i difensori… Inaccettabilmente statico, lento, privo di movimento là davanti (imparino dal Recreativo e dal Sevilla!) e totalmente sprovvisto di gioco sulle fasce, ancora di più quando Capello decide di schierare Beckham sulla fascia destra e Raul sulla sinistra, cioè zero profondita zero dribbling. Di fatto Ronaldo è costretto il più delle volte a venirsi a prendere palla all’ altezza della metacampo.
Nel secondo tempo Capello prova a sbilanciare la squadra inserendo Robinho per Emerson (Guti e Beckham diventano i centrali di centrocampo: ah, Queiroz…che tempi!). Nei primi minuti prova a forzare con qualche mischia, ma arriva la mazzata dello 0-2, con lo show di Uche favorito da un’altra penosa recita di Cannavaro. Partita compromessa, pubblico schifato, inutile (ça va sans dire) ingresso di Reyes, Recre sempre più sicuro (e anche più coperto con l’ingresso di Juanma per Sinama, con Cazorla che va a supporto di Uche) e che finisce col prodursi in un torello umiliante per il Real Madrid, culminato allo scadere nella magnifica punizione di Viqueira che ingigantisce ulteriormente i contorni dell’impresa.

I MIGLIORI: Sinama Pongolle e Uche sono i “Calipso Boys” del Recreativo: Sinama è nell’ ambiente migliore per esplodere, e sta giocando una stagione notevole, veloce, utilissimo alla manovra e puntuale in zona gol. Uche è un talento esplosivo, potenzialmente un nuovo Eto’o: un po’ più irrazionale di Sinama Pongolle, talvolta divorato dall’individualismo (come quando nel secondo tempo ignora Juanma liberissimo e si arena in una testarda azione solitaria al limite dell’area madridista), ma ha ottima tecnica e spunti semplicemente devastanti, come quello che incenerisce Cannavaro sullo 0-2.
Notte magica, a 32 anni ci voleva, per Viqueira: mi chiedo spesso come un giocatore di questa qualità, testa alta, visione di gioco e tocchi semplicemente geniali (un Riquelme dei poveri), sia rimasto sempre e solo nel calcio di provincia. Punizione all’ incrocio, Casillas immobile: cosa ha in meno di un Beckham?
Cazorla è una trottola inesauribile, uno dei giocatori chiave di questo Recre rivelazione: parte dalla fascia destra, ma come sua abitudine si accentra sempre sulla trequarti, spina nel fianco fra mediana e difesa del Madrid, sfiorando pure un gol nel primo tempo: taglio in diagonale perfetto e sinistro incrociato di poco a lato. Tutti gli interpreti di questo Recreativo meriterebbero una citazione, ma chiudiamo con Mario, rognoso e appiccicoso sul centro-sinistra della difesa, puntuale e aggressivo nell’ anticipo.
I PEGGIORI: Raccapricciante Cannavaro, crolla impietosamente sia sul gol di Sinama Pongolle che su quello di Uche. Credo che la partita di ieri sera del Pallone d’Oro e Fifa World Player 2006 possa servire per avere qua in Italia più rispetto per i difensori stranieri: se al posto di Cannavaro ci fosse stato un difensore della cantera, gli “esperti” italiani lo avrebbero subito giudicato scarso e inadeguato. Quindi, prima di dire “che scarsi i difensori del Real Madrid!”, si pensi a quanto sia difficile fare il difensore al Bernabeu… E si pensi anche alla differenza fra disputare al massimo un torneo di sole sette partite come il Mondiale e disputare al massimo un’intera estenuante stagione, ancora di più quando il giocatore in questione, pur di grande livello, ha 33 anni.
Nessuno si salva nel Real Madrid: passivo Van Nistelrooy, voglioso ma poco incisivo Ronaldo, inconcludente Robinho (lui e Reyes non stanno per nulla aiutando Capello a trovare soluzioni alternative sugli esterni), inutile Beckham (quando gioca sulla fascia viene sempre al centro per creare ingorghi ancora maggiori), spazzato via dall’ intensità del Recreativo Emerson, marginale Guti, e potrei continuare all’ infinito.


Real Madrid (4-4-2): Casillas 6; Salgado 5,5 (66'), Cannavaro 4, Ramos 5,5, R. Carlos 5; Beckham 5, Emerson 5 (46'), Guti 5, Raúl 5,5; Ronaldo 5,5 (66') Van Nistelrooy 5.
In panchina: D. López, R. Bravo, Pavón, Mejía s.v. (66'), De la Red, Reyes 5,5 (66'), Robinho 5,5 (46').
Recreativo (4-4-2): L. Vallejo 6; Merino 6,5, Beto 6,5 (54'), Mario 7, Poli 6,5; Cazorla 7, Viqueira 8, J.Vázquez 7, Aitor 7; Uche 8 (80'); Sinama 7,5 (56').
In panchina: Laquait, Arzo 6 (54'), D. Bautista, Barber, Juanma 6 (56'), Guerrero s.v. (80'), Calle.

Goles: 0-1 (34'): Sinama regatea a Cannavaro y marca con la zurda; 0-2 (51'): Uche quiebra a Cannavaro y bate a Casillas con la derecha; 0-3 (90'): Viqueira, con la derecha, de falta.
Árbitro: Daudén Ibáñez, del Colegio Aragonés. Amonestó a Beckham (24'), Aitor (58'), Mario (73') y Ramos (81').
Incidencias: Bernabéu. 60.000 espectadores.

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mercoledì, dicembre 20, 2006

E' tornato il Valencia.

Gli anticipi del turno infrasettimanale, l'ultimo dell'anno prima dell vacanze natalizie, hanno confermato il rilancio in grande stile del Valencia, evento certo non inaspettato. Da tre partite è tornato Albelda e son state tre vittorie di fila, otto gol fatti e uno solo subito, l'ininfluente rigore con cui Jonas Gutiérrez all' 87' ha accorciato le distanze nel 3-1 rifilato ieri al Mallorca.
Determinante Albelda, nonostante le interessanti prestazioni del supplente Pallardò, nel dare maggior protezione alla difesa e nel ristabilire gli equilibri di squadra.
Equilibri nei quali si innestano il promettente (rispetto al grigiore della scorsa stagione) ritorno di Baraja e le scorribande di Vicente, ieri di nuovo brillante (un gol e un assist per il solito acuto di Villa; il terzo gol è stato di Morientes) dopo la pausa che si era preso sabato col Zaragoza. Non ancora in forma Ayala, al centro della difesa se la sta cavando al fianco di Albiol David Navarro.
Vedendo Joaquin in panchina col Depor, pensavo a un semplice turnover, invece Quique sta optando per Angulo titolare in attacco e Silva esterno di fascia destra.
Soluzione interessante, che innesca continui interscambi fra i due (come quelli che avvengono fra Villa e Vicente sull'altra fascia) difficilmente leggibili dalle difese avversarie. Non è nuovo tra l'altro Quique a questi accorgimenti, perchè già ai tempi del suo Getafe mi ricordavo grande mobilità in attacco, con Vivar Dorado che partiva dalla fascia sinistra del centrocampo per accentrarsi sulla trequarti, Riki che svariava sulle fasce e Gica Craioveanu che arretrava anche lui sulla trequarti.
Probabilmente farà anche bene a Joaquin un po' di panchina per pungolarlo, perchè non si può certo stare ad aspettare i suoi 10 minuti di buona ispirazione, bisogna chiedergli di più, quello che finora ha raramente dato. E per il momento l'ex del Betis può rivelarsi un' arma formidabile a partita in corso per ammazzare il risultato quando si aprono gli spazi per la sua progressione (visto che da tempo fa fatica a scartare verso l'esterno e arrivare sul fondo).
Poi lo straordinario Villa, giocatore eccellente in tutte le situazioni di gioco: dentro l'area, in contropiede, sulla trequarti ad impostare l'azione, sulla fascia per puntare l'uomo. Incredibile la quantità e la qualità che ormai è arrivato ad esprimere: ieri, oltre ad un assist milimetrico che ha innescato la corsa di Vicente sul primo gol (come aveva fatto anche contro il Depor), un gol da torero, mettendo a sedere Prats con classe e sangue freddo.
In generale, questo Valencia è davvero notevole: al netto degli infortuni, una squadra solidissima nella fase difensiva e in grado di capitalizzare ogni minima occasione in attacco, anche quando gioca male (e non sarebbe male regalare qualcosa di più dal punto di vista estetico, le premesse per farlo senza perdere nulla in efficacia ci sarebbero tutte, come hanno dimostrato anche alcune partite). In grado di creare pericolo in ogni momento e nelle più svariate situazioni: agendo in contropiede (sempre che Quique non si limiti solo a questa arma), sfondando facilmente sulle fasce e servendo palloni in area o anche con gli inserimenti sulla trequarti.
Squadra completissima, forse troppo poco considerata in chiave Champions, certamente non inferiore all' Inter, nonostante la soddisfazione mostrata da alcuni qui in Italia per il sorteggio (mah, affari vostri...).
Intanto, il Valencia arriva alla sosta con l'animo e, soprattutto, la classifica risollevati: a 24 punti, sesto posto a due soli punti dal Zaragoza e a tre dall' Atlético Madrid quarto ma atteso domani dal match con il Barça.

Il Zaragoza pareggia 0-0 con l'Athletic e continua la sua frenata, anche se il risultato non è certo malvagio, perchè con Mané in panchina il San Mames è tornato un campo difficile. La partita l'ha fatta l'Athletic, ma è stato il Zaragoza ad avere le migliori occasioni, che è molto facile che arrivino dato il potenziale offensivo di Victor Fernandez. Però Aimar e un Ewerthon non ancora "caldo" in questa stagione non le hanno sapute sfruttare.

Stasera il Real Madrid gioca al Bernabeu contro il Recreativo, ed è una partita macchiata purtroppo dal lutto, dato che in un incidente stradale che ha coinvolto l'autobus dei tifosi del Recre sono morti quattro tifosi andalusi. Il Recreativo ha chiesto il rinvio della partita, ma la Federazione l'ha negato.
Passando alle meno serie questioni tecniche, è una sfida piuttosto interessante e non priva di possibili sorprese. Grande rivelazione di questa Liga il Recre (prossimamente gli dedicherò un post, in cui parlerò anche delle altre neopromosse, Nàstic e Levante), gioca a memoria, è aggressivo nel pressing e micidiale quando può ripartire in velocita con Sinama Pongolle-Uche, coppia da tenere d'occhio.
Domani sera il Barça, e quella con l'Atlético Madrid è una sfidaa tradizionalmente sfortunata per i blaugrana, sconfitti in casa nelle ultime due stagioni (0-2 nel 2004-2005, 1-3 nel 2005-2006). I colchoneros si trovano magnificamente nelle praterie del Camp Nou e Torres in special modo. Presupposti tattici ideali per questo Atlético di Aguirre, vedremo la reazione del Barça al fallimento intercontinentale.
Il Sevilla attende il Deportivo del vecchio eroe del Sanchez Pizjuan Caparros, uomo al quale Juande Ramos deve buona parte degli ultimi successi. C'é stata una polemica recentemente, con Juande Ramos che ha sottolineato il carattere maggiormente offensivo e spettacolare del suo Siviglia rispetto a quello di Caparros, e ciò è verissimo, ma Juande Ramos non dovrebbe dimenticarsi (e probabilmente non se lo dimentica) che chi ha costruito l'intelaiatura, soprattutto per la fase difensiva, del suo Sevilla così vincente è stato proprio Caparros, che attraverso rigore tattico e sudore (uniti alle geniali operazioni del direttore sportivo Monchi) ha posto le basi di quello che il Sevilla è adesso.
Comunque, partita apparentemente sbilanciata: Depor in crisi con per giunta un tragico ruolino fuori casa, Sevilla col vento in poppa.

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lunedì, dicembre 18, 2006

QUINDICESIMA GIORNATA: ALTRE PARTITE.

Recreativo-Sevilla 1-3: Luis Fabiano, rig. 11' (S); Jesus Vazquez 18' (R); Kanouté 34' (S); Navas 52' (S).

Atlético Madrid-Getafe 1-0: Maniche 23'.

Real Sociedad-Nàstic 3-2: Llera 17' (N); autorete Mingo 48' (R); Rubén Castro 49' (N); Juanito 54' (R); Diego Rivas 60' (R).

Levante-Celta 1-1: Baiano 1' (C); Alvaro 50' (L).

Villarreal-Osasuna 1-4: Webò 13' (O); Nekounam 42' (O); David Lopez, rig. 55' (O); Cani 60' (V); Juanfran 69' (O).

Mallorca-Racing 1-2 (giocata sabato): Jankovic 16' (M); Rubén 63' (R); Balboa 87' (R).


Il Sevilla tiene botta e vince di puro cinismo sul campo di un Recreativo che gioca meglio, crea più occasioni, ma paga la minor freddezza in zona-gol.
L'Atlético torna al quarto posto con una partita certo non brillante ma nella quale tutti i dettagli vanno per il verso giusto: per una volta non passa in svantaggio, anzi è il contrario, e poi trova un Getafe che tiene il campo bene ma ha grossi problemi offensivi (infatti a Gennaio arriverà Verpakovskis dalla Dinamo Kiyv). Torres è sempre più il trascinatore di questa squadra: ispira il gol di Maniche con uno dei suoi soliti affondi sulla fascia e inquieta da solo l'intera difesa getafense (rivordiamolo, la meno battuta della Liga). Leo Franco risponde ancora una volta presente con alcuni ottimi interventi.
Sconcertante batosta casalinga per il Villarreal (vuoi vedere che ci ritroviamo l'Osasuna in zona-Champions?); Celta ancora una volta sonnecchiante, la scampa bella contro un ottimo Levante; Real Sociedad che, in rimonta, si tira su nello spareggio dei poverissimi col Nàstic (nel quale segna il terzo gol consecutivo Rubén Castro, ottimo il suo acquisto dal Racing).


CLASSIFICA

1 Sevilla 34
2 Barcelona 33 (una gara in meno)
3 Real Madrid 32
4 Atlético 27
5 Zaragoza 26
6 Valencia 24
7 Getafe 22
8 Recreativo 22
9 Villarreal 22
10 Osasuna 20
11 Celta 20
12 Espanyol 19
13 Racing 18
14 Mallorca 17
15 Deportivo 17
16 Levante 15
17 Athletic 14
18 Betis 10 (una gara in meno)
19 R. Sociedad 9
20 Gimnàstic 8



CLASSIFICA CANNONIERI

1 Kanouté 12
2 Diego Milito 11
3 Ronaldinho 11
4 Van Nistelrooy 9
5 Fernando Baiano 8

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QUINDICESIMA GIORNATA: Espanyol-Real Madrid 0-1: Van Nistelrooy

Vittoria importante e convincente di un Madrid concreto e molto solido, anche quando si è trovato in 10 per l’assurda espulsione di Cannavaro (seconda ammonizione per fallo di mano, quando in realtà è stato colpito in faccia dal pallone, con occhio nero compreso). Confermati, stavolta anche con i tre punti, i progressi sul piano della compattezza generale evidenziati a Siviglia, almeno dal gol di Kanouté in poi.
Il primo tempo è un tremendo supplizio: il Real Madrid cerca di fare la partita, senza sentirsi, come ben sappiamo, troppo a suo agio nel compito. Capello finalmente mette da parte il “doble pivote” (spiace però che a farne le spese sia stato Diarra, l’investimento più importante quest’ estate) e arretra accanto ad Emerson Guti, per avere così, oltre a Raul a supporto di Van Nistelrooy, più spinta sulle fasce con Robinho a destra (neanche lontanamente il suo ruolo) e Reyes a sinistra. I risultati però sono modesti, perché lo scarso movimento generale e la vena inaridita di Robinho e soprattutto Reyes impediscono di creare occasioni vere e proprie. L’Espanyol risponde con uno schieramento raccolto e che mantiene vivo il pericolo una volta riconquistato il pallone, rapido e pungente nel ribaltare il fronte con De la Pena, pericolo pubblico numero uno (però alla fine ben contenuto dal centrocampo di Capello), pronto a lanciare Luis Garcia e Tamudo alle spalle della difesa madridista, ieri qualche metro più avanzata del solito.
Però nulla succede, a parte qualche uscita da libero aggiunto di Casillas, neanche su questo fronte, e per vedere le svolte decisive della partita bisogna aspettare l’inizio del secondo tempo, con un Madrid che ci mette un po’ più convinzione e aziona il suo distributore automatico di gol, Van Nistelrooy, che inventa da fenomeno l’1-0, quasi bissato da Guti subito dopo con un sinistro da fuori.
Tutto in pochi minuti, perché al 53’ la già citata svista arbitrale condanna il Real Madrid all’ inferiorità numerica. Valverde giustamente tenta il tutto per tutto, aggiunge Pandiani all’ attacco arretrando Luis Garcia come mina vagante sulla trequarti (e sostituendo successivamente Moha con Coro); Capello altrettanto giustamente copre il vuoto lasciato dall’ espulsione di Cannavaro con Mejia e serra ulteriormente le fila con Diarra e Raul Bravo.
Qui si vede probabilmente il miglior Real Madrid, capace di respingere con notevole sicurezza gli attacchi dell’Espanyol, lanci verticali nell’area di Casillas affidati soprattutto alla combattività di Pandiani, e di uscire dalla sua area con discreta serenità, trainato da Guti e dal sempre prezioso Raul.

I MIGLIORI: Mostruoso Van Nistelrooy: una sola palla buona (forse anche per colpa del poco movimento che fa…), scaraventata in rete da bomber senza pari qual è: controlla maluccio il pallone, ma spalle alla porta si gira rapidissimo e fulmina Kameni. Gol tipo quello al Levante, senza bisogno di guardare la porta perché ce l’ha già stampata in mente.
Ottima partita di Salgado, non giocava così da due anni almeno (parlo sul serio): propositivo sulla fascia e provvidenziale quando in scivolata salva Casillas dalla conclusione a botta sicura di Coro, smarcato da Tamudo. Solito uomo-squadra e gran faticatore Raul: aiuta in copertura, porta su il pallone, guadagna tempo. Qualità da Guti.
Tamudo è il più pericoloso del “Triangolo Magico”, con la sua consueta velocità e astuzia. Crea un’azione pericolosissima nel secondo tempo, smarcando Coro, ma Salgado recupera. Stupendo anche un recupero dell’ interessante Torrejon su Van Nistelrooy nel primo tempo.
I PEGGIORI: Robinho già da un po’ è in calo di forma, Reyes delude ancora una volta. Non sfrutta quasi mai la sua velocità, non punta l’uomo e appesantisce sempre il gioco tenendo il pallone oltre misura invece che chiedere triangolo e partire in profondità.
Abbastanza spento Luis Garcia: prova con una punizione delle sue, fuori di poco, nel primo tempo, ma non riesce mai a trovare l’ occasione giusta.


Espanyol (4-4-1-1): Kameni 6; Zabaleta 6, Torrejón 6,5, Jarque 6, Chica 6,5; Rufete 5,5(55'), Moisés 6, De la Peña 6, Moha 6 (74'); Luis García 5,5; Tamudo 6,5.
In panchina: Iraizoz, Valasco, Lacruz, Coro (74'), Ángel, Ito, Pandiani (55').
Real Madrid (4-2-3-1): Casillas 6,5; Salgado 7, Ramos 6,5, Cannavaro 6, Roberto Carlos 6; Emerson 6,5, Guti 6,5; Robinho 5,5, Raúl 6,5, Reyes 5,5; Van Nistelrooy 7,5.
In panchina: Diego López, Diarra 6 (70'), R. Bravo s.v. (84'), Cassano, Pavón, Mejía 6 (54'), Ronaldo.

Goles: 0-1 (49'): Van Nistelrooy, de disparo cruzado a la media vuelta, tras pase un buen pase de Guti.
Árbitro: Pérez Lasa, colegio vasco. Expulsó a Cannavaro por doble tarjeta amarilla (47' y 53'). Amonestó a Moisés (13'), Robinho (38'), Roberto Carlos (72'), Zabaleta (76') y Salgado (80').
Incidencias: Montjuïc. Casi lleno: 55.000 espectadores.

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domenica, dicembre 17, 2006

MONDIALE PER CLUB FINALE: Internacional-Barcelona 1-0: Adriano.

L'alloro mondiale resta un tabù per il Barça: dopo il Sao Paulo nel '93, un'altra sconfitta, più che mai bruciante, ed è un' occasione che certamente non si presenta ogni anno quella dell' Intercontinentale, o Mondiale per Club, come impone il nuovo formato.
Sconfitta bruciante e più che mai meritata, perchè il Barça non ha fatto il Barça e l'Internacional ha recitato perfettamente da anti-Barça. Avevo già sottolineato come, rispetto all' America, fosse ben altro il dinamismo e la compattezza dei brasiliani e la prestazione degli uomini di Abel Braga è stata, dal punto di vista sia tattico che psicologico, nettamente superiore a quella del Barça, che non è mai riuscito a mettere stabilmente sotto pressione l'Inter.
Aspettarsi che l'Internacional assumesse il controllo del gioco era una pretesa totalmente irrealistica, quasi nessuno può contendere seriamente il possesso-palla a questo Barcellona, anche quando non è in serata: la cosa migliore da fare per ogni avversario dei blaugrana è limitare l'efficacia di questo possesso-palla e agire di rimessa nella maniera più veloce e imprevedibile possibile, magari sfruttando quegli inserimenti dalle retrovie che la difesa blaugrana fatica a leggere, perchè gli aiuti in ripiegamento dagli attaccanti e dai centrocampisti non sempre arrivano. Questo è ciò che ha fatto l'Inter, efficiente a centrocampo con il prezioso lavoro di Edinho davanti alla difesa, il continuo Wellington Monteiro sul centro-destra e un Vargas che sul centro-sinistra ha aggiunto freschezza al posto di un Alex un po' in difficoltà. In difesa, perfetto piazzamento dei centrali Indio e Fabiano Eller, mentre Cearà sulla destra ha limitato Ronaldinho e Rubens Junior (titolare al posto dell'indisponibile Hidalgo) ha aggiunto all'attenzione difensiva su uno spento Giuly la qualità che gli è propria nelle rare avanzate che si è potuto concedere.
Perfetta tenuta difensiva dei brasiliani e, indispensabile ciliegina sulla torta, gol nell' unica occasione creata, con un contropiede impostato dal brillantissimo Iarley (una spina nel fianco, rapido e testardo nell'infastidire i difensori blaugrana) e concluso da Adriano (entrato al posto dell' infortunato Fernandao), scappato a un Belletti inaffidabile in copertura.
Il Barça ha deluso clamorosamente. Non so se i giocatori fossero stanchi, se ci sia stata sottovalutazione dell'avversario (non credo proprio, magari c'è stata da parte di certi media che fino a due mesi fa non sapevano neanche che esistesse l'Internacional), e sarebbe ridicolo trarre grandi lezioni o sottolineare chissà quali debolezze strutturali dei blaugrana. Era una partita secca e l'avversario se l'è giocata meglio, punto.
Un Barça troppo lento nello sviluppare il gioco, probabilmente tradito dall' intima convinzione di poter fare sua la partita in qualsiasi momento. Convinzione che sembrava incrollabile nel primo tempo, nel quale dopo un iniziale predominio alegrense i catalani si sono impadroniti della sfera, rendendosi però raramente pericolosi. Il secondo tempo però ha accentuato un certo sfilacciamento dell' undici di Rijkaard, al quale si è accompagnata una progressiva perdita di fiducia e di ispirazione.
I cambi di Rijkaard, Belletti al posto di Zambrotta (che stava giocando bene e del quale non ho capito sinceramente la sostituzione) e Xavi al posto di Motta (giustamente sostiituito per essersi beccato il solito cartellino giallo), probabilmente motivati da problemi fisici, intendevano aumentare il potenziale offensivo e la velocità di circolazione del pallone, vero problema del Barça oggi. A conti fatti però, se almeno Xavi si è reso pericoloso in due iniziative individuali, questi cambi hanno soltanto tolto solidità difensiva al Barça, maggiormente esposto al contropiede dei brasiliani con un centrocampo di "piccoletti". Il gol di Adriano ne è la dimostrazione.
Dopo lo svantaggio, con poco tempo a disposizione, il Barça ha reagito di puro orgoglio, ma il tiro di Deco sventato da un Clemer artigianale ma efficace e la punizione di Ronaldinho di poco fuori non hanno sortito l'effetto sperato. Lungo e lento, il Barça è mancato anche nelle individualità: soprattutto Ronaldinho, spento e sostanzialmente imbrigliato, ma anche un Gudjohnsen tatticamente utile però privo di mordente e un Iniesta un po' banale. Deco è stato premiato miglior giocatore della manifestazione, verdetto condivisibile, è stato il più attivo ma non è bastato.
Il miglior blaugrana in campo è stato forse Puyol, superato da Iarley nel contropiede decisivo, ma prontissimo e grintoso in molte chiusure.

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QUINDICESIMA GIORNATA: Zaragoza-Valencia 0-1: Angulo.

Il Valencia si rilancia in pieno nella corsa al quarto posto, portandosi a –2 dal Zaragoza con una vittoria che ha ricordato certe prestazioni d’inizio stagione per la solidità, la sicurezza e l’efficienza ai limiti dell’ immoralità.
Il primo tempo infatti è quasi un monologo del Zaragoza, che costringe il Valencia nella sua metacampo, lasciandogli la sola arma del contropiede, favorito magari da qualche leziosismo di troppo di Aimar e D’Alessandro condotto soprattutto dalla sinistra sull’asse Vicente-Villa. Domina il centrocampo del Zaragoza, con Celades e soprattutto Zapater (tornati finalmente a fare coppia dopo che, fra infortuni e squalifiche, li avevano rimpiazzati Movilla e Ponzio) che sovrastano Albelda e Baraja, tagliano, cuciono e favoriscono il dominio dei padroni di casa che si riversano fiduciosi all’attacco, ben protetti dai recuperi decisi di Sergio e Diogo che stroncano sul nascere i pochi contrattacchi valenciani.
Calcio fluido, attraente e giocato su ritmi alti quello del Zaragoza, con D’Alessandro e soprattutto un euforico Aimar che trovano spazio tagliando dalle fasce verso il centro, combinando spesso di prima coi soliti Sergio Garcia e Diego Milito, bravissimi nell’allargare e nel togliere punti di riferimento alla difesa avversaria coi loro movimenti continui e incisivi. Però la difesa del Valencia non è che ne perda poi tanti di punti di riferimento: il centrocampo viene quasi sempre superato, ma quando i giocatori del Zaragoza provano a concludere trovano sempre qualcuno a rintuzzare gli attacchi: anche nei momenti di maggior pressione zaragocista, Albiol e compagnia finiscono con lo sventare i pericoli al momento del dunque, e Butelle deve limitare i suoi interventi in pratica solo alle conclusioni da fuori di Diego Milito e di Aimar. E appena si affaccia il Valencia trova il golletto, irritante e immeritato: golletto che in realtà è un golazo, confezionato da Angulo con un inimmaginabile destro da una trentina di metri, che sorprende César e ammutolisce la Romareda.
Nel secondo tempo il Valencia legittima il vantaggio: il livello generale cala parecchio, l’undici di Quique si assesta e assume anche il controllo del centrocampo, perché ora il Zaragoza non è capace di produrre più nulla, preda ormai della confusione, dell’ansia e dello scoramento. Victor Fernandez prova con Ewerthon, Lafita e pure Oscar, sbilancia la squadra ma non va oltre un paio di mischie confuse. Il gioco dei padroni di casa è tutto imbottigliato al centro, senza il respiro e la continuità del primo tempo, e il Valencia non ha più problemi, con una difesa sempre impeccabile, un Albelda che esce alla distanza e anche qualche iniziativa offensiva che, sfruttando i maggiori spazi lasciati da uno sbilanciato Zaragoza, non manca di inquietare César.
Il Valencia, che era la sfidante più plausibile del Barça ad inizio stagione, non sta facendo altro che tornare dove gli compete, facendo appello tutta alla sua concretezza quando il gioco latita (anche se per vincere una Liga bisogna fare ben di più); il Zaragoza si conferma inadatto per il momento alla Champions, sempre troppo umorale e discontinuo.

I MIGLIORI: Prestazioni incomplete, da una parte e dall’altra, coi rispettivi protagonisti che danno il meglio solo nei momenti migliori delle loro squadra. Così nel primo tempo, quando è il Zaragoza a dominare, Zapater spadroneggia (in coppia con Celades) a centrocampo, sostenendo in fase d’interdizione e di rilancio, il continuo assedio della sua squadra. Diogo fa mostra ancora una volta delle sue doti atletiche da Superman quando nel primo tempo mette la museruola, con tackle e recuperi perentori, ora a Villa ora a Vicente. Anche Sergio, sempre concentrato sul pallone e quindi preciso nei suoi interventi, fa la voce grossa. Juanfran spinge con personalità e arriva spesso al cross, ma non raccoglie grandi frutti.
Si vede che Aimar è in forma e voglioso di dimostrare tutto il talento che possiede alla sua ex-squadra. Dalla sinistra si accentra sulla trequarti, si libera degli avversari e cerca lo scambio negli spazi stretti: entra molto in azione nel primo tempo, poi il Zaragoza perde il controllo del gioco e allora non è più tanto partita da Aimar. In generale l’impressione è che Aimar, anche quando è in forma, renda meno in questo Zaragoza rispetto a quanto potrebbe. In una squadra a trazione anteriore e in cui tutti sono costretti a sacrificarsi, il Payaso si trova spesso a prendere palla sulla fascia sinistra all’altezza del ecrchio di centrocampo, con tanti chilometri e tanti avversari fra lui e la porta avversaria, cosa che diminuisce necessariamente la sua imprevedibilità. Sempre perfetto il lavoro di seconda punta di Sergio Garcia, veloce, tecnico e in costante movimento, ma impedito al momento della conclusione dagli interventi dei difensori avversari.
Il secondo tempo è del Valencia, e Albelda, sorpassato nel primo tempo, trova le misure e monta la diga. Un elogio collettivo riguarda la difesa intera del Valencia, senza distinzioni, perché risulta difficile distinguere i meriti individuali quando c’è una perfetta tenuta collettiva: i centrali sono bravissimi nel respingere i tanti tiri provati dagli attaccanti del Zaragoza, nel respingere i cross e nell’ impedire la chiusura delle triangolazioni agli attaccanti avversari, i terzini sono molto attenti nelle diagonali e nel coprire la loro zona, capitolando soltanto di fronte a certe dimostrazioni di qualità negli uno contro uno avversari. Non fa praticamente nient’altro, ma il gol di Angulo parla da solo.
I PEGGIORI: Diego Milito non sfonda: solo un tiro al termine di una triangolazione con Aimar nel primo tempo, il movimento e la buona volontà spesi generosamente durante i 90 minuti non incrinano le sicurezze della difesa valenciana. Forse non è esente da colpe César sul comunque grande gol di Angulo.


Zaragoza (4-4-2): César 5,5; Diogo 6,5, Sergio 6,5, G. Milito 6, Juanfran 6,5; D'Alessandro 6 (68'), Celades 6 (85'), Zapater 6,5, Aimar 6,5; S. García 6,5 (68'), D. Milito 5,5.
In panchina: Miguel, Chus Herrero, Movilla, Ponzio, Lafita 5,5 (68'), Óscar s.v. (85'), Ewerthon 5,5 (68').
Valencia (4-4-2): Butelle 6; Miguel 6, Albiol 6,5, D. Navarro 6,5, Curro Torres 6; Silva 6,5 (92'), Albelda 6,5, Baraja 6, Vicente 5,5 (73'); Angulo 7, Villa 6,5 (78').
In panchina: Mora, Ayala, Cerra, Pallardó, H. Viana s.v. (92') s.c. Joaquín s.v. (78'), Morientes s.v. (73').

Gol: 0-1 (41'): Angulo sorprende a César con un disparo muy lejano que vuela de lado a lado y entra por el ángulo derecho de la portería del Zaragoza.
Árbitro: Pérez Burrull, Colegio Cántabro. Amonestó a Sergio (64'), D. Navarro (70'), Curro Torres (77'), Joaquín (79'), Butelle (88'), Baraja (91+).
Incidencias: La Romareda. Lleno.30.000 espectadores. Minuto de silencio por dos árbitros cántabros fallecidos en un accidente.

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QUINDICESIMA GIORNATA: Deportivo-Athletic 0-2: Javi Martinez; Javi Martinez.

E’ ufficiale: la cura Mané funziona. Lo dicono perlomeno i risultati: in una partita di bassissimo livello, i baschi fanno loro tre punti pesantissimi, pochissimo gioco ieri sera, ma indiscutibilmente maggiore determinazione e coesione generale da quando c’è stato il cambio in panchina.
Il Deportivo prosegue la sua caduta libera, e cominciare a ora parlare di esonero per Caparros sarebbe veramente demenziale e autolesionista. Metto subito le mani avanti, perché il geniale tecnico andaluso resta l’unico capace di far rendere anche oltre il proprio effettivo potenziale una rosa inesperta, incompleta e tecnicamente povera, che è stata ampiamente sopravvalutata quando ad inizio stagione il Deportivo si trovava in zona Champions. Cambiare tecnico spalancherebbe le porte della Segunda Division, lo dico chiaro e tondo.
I padroni di casa, dopo aver subito l’immediato vantaggio di Javi Martinez, assumono il controllo totale del possesso palla, spingono e inquietano Aranzubia con un tiro deboluccio di Riki e un colpo di testa di Arizmendi, ma la strada verso il gol rimane come al solito impervia. Non si può pensare di far del male a una difesa schierata (nell’ultima partita in casa col Racing il Depor non riuscì a creare nulla neanche con gli avversari in nove) senza un centravanti decente o perlomeno di ruolo (oggi ha giocato di punta Arizmendi, mentre Riki è andato sulla fascia sinistra) e con la solita manovra prevedibile a centrocampo: giusto bocciare Coloccini e Sergio dopo la figuraccia di Valencia, ma se a sostituirli sono due manovali come Juan Rodriguez e De Guzman, le cose non cambiano di certo. La passione di Caparros (che è anche la mia) per De la Red trova tutte le giustificazioni di questo mondo.
Nel secondo tempo la qualità degli attacchi del Depor peggiora ulteriormente, con l’inserimento dei vari Adrian, Estoyanoff e Iago (con l’arretramento di Verdù in regia) come carta della disperazione. Athletic sempre più comodo, Depor in inferiorità numerica per l’espulsione di Juanma e finale col mattatore Javi Martinez che passeggia sui resti dei galiziani, umiliando nello scatto, in una scena piuttosto emblematica, un arrancante Manuel Pablo e sigillando la partita con l’acuto del 2-0.

I MIGLIORI: Javi Martinez protagonista: solito lavoro a centrocampo con la ciliegina della doppietta. Primo gol di testa, secondo dopo imperiosa azione individuale. Ciò che meraviglia di questo 18enne sono non tanto le attuali, buone prestazioni, quanto i margini di miglioramento che lascia intravedere. Un giocatore resistente, forte, generoso e utile in fase difensiva, autorevole e sicuro nel mantenere il controllo del pallone e dotato nel tocco, oltre che con una buona predisposizione all’inserimento. Non sono ancora certezze, ma segnali che ogni tanto emergono e fanno intravedere uno dei centrocampisti spagnoli potenzialmente più completi dei prossimi anni.
Arizmendi è il più attivo del Depor, ma sentire che alcuni lo paragonerebbero ad Ibrahimovic fa venire i brividi…
I PEGGIORI: De Guzman si conferma giocatore sommamente inutile: corre tanto e sempre a vuoto. Riki sta deludendo parecchio in questa sua esperienza al Depor, lui che è sicuramente uno dei giocatori più talentuosi della rosa dei galiziani: ha avuto l’attenuante quando, lui che è seconda punta di ruolo, era costretto a giocare da unica punta (peraltro in un squadra difensivista come sono tutte quelle di Caparros), ma oggi da esterno sinistro, ruolo che gli è familiare, non ha combinato nulla, così come Cristian sull’altra fascia, troppo spesso fumoso nelle sue apparizioni da titolare (nonostante possieda doti interessanti).


Depor (4-2-3-1): Aouate 6; Manuel Pablo 5,5, Arbeloa 6 (69'), Juanma 5,5 Capdevila 5,5; De Guzman 5 (52'), J. Rodríguez 5; Cristian 5, Verdú 5,5, Riki 5,5 (61'; Arizmendi 6,5.
In panchina: Munúa, Barragán, Coloccini, Sergio, Estoyanoff 5,5 (61'), Iago s.v. (69'), Adrián 5 (52').
Athletic (4-4-1-1): Aranzubia 6,5; Expósito 6, Prieto 6, Sarriegi 6, Casas 6; Iraola 6,5, Murillo 6, J. Martínez 7, Gabilondo 5,5 (66'); Yeste 5,5 (82'); Urzaiz 6 (53').
In panchina: Alcalde, Amorebieta s.v. (82'), Dañobeita, Iturriaga, Garmendia 6(66'), Llorente, Aduriz 6 (53').

Goles: 0-1 (8'): Javi Martínez remata de cabeza un córner de Iraola en el primer palo; 0-2 (91'+): Javi Martínez culmina una gran jugada con la colaboración de Aouate.
Árbitro: Álvarez Izquierdo, del Colegio Catalán. Expulsó a Juanma por doble amarilla (80' y 83'). Amonestó a Javi Martínez (22'), Juan Rodríguez (76') y Estoyanoff (92'+').
Incidencias: Riazor. 12.000 espectadores. Noche muy lluviosa.

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giovedì, dicembre 14, 2006

Celta, avanti con personalità (e parecchia qualità).

L’indomito Tedesco e il diabolico Brienza hanno rischiato di comprometterla, ma non ottenere la qualificazione sarebbe stata una vera beffa per un Celta davvero convincente, a tratti perfetto, in grado di dare per buona parte del match lezione di calcio al Palermo sul suo campo.
Esibizione di sontuoso futbol de toque, manifesto del calcio che chiede Vazquez: palla nascosta per lunghissimi tratti (a un certo punto una grafica ha indicato 6 minuti in più di possesso palla per il Celta, un’ enormità!) a un Palermo assolutamente disorientato. “Se la palla ce l’abbiamo noi, gli avversari non ce l’hanno, quindi non possono farci gol”: massima di Liedholm che è valsa più che mai per un Celta che però rispetto alla deriva rinunciataria di Newcastle è sceso in campo con la chiara intenzione di fare la partita e vincerla, chiudendo il Palermo nella sua metacampo e inquietando sin dall’ inizio Agliardi con le conclusioni soprattutto di Nené e Canobbio.
Grande facilità di palleggio e controllo del gioco ottenuto grazie a uno schieramento foltissimo a centrocampo, che offriva sempre una o due soluzioni al portatore di palla. Il resto lo hanno fatto la qualità tecnica generale e la predisposizione a giocare ad uno-due tocchi senza farsi mai prendere dalla fretta. Se poi sulla trequarti disponi di mancini come Canobbio, Nené e Gustavo Lopez (grande sicurezza anche da Iriney, quest’anno su livelli notevoli) in grado di addormentare la sfera, temporeggiare, resistere agli attacchi avversari e far salire la loro squadra con quella fluidità, sei a cavallo.
Stavolta la concentrazione e la tenuta delle occasioni più importanti non sono mancate: il gol decisivo (seppure fortunoso) è stato segnato, gli errori sulle palle alte son stati limitati (il gol del Palermo è nato semmai da un eccesso di leziosità di Nené, altra faccia della medaglia di questo tipo di giocatori) e l’avversario è stato tenuto lontano dalla porta di Esteban, a parte alcuni sussulti in un finale in cui l’attacco non ce la faceva più a tenere su palla e Vazquez ha speso tutti i suoi cambi per far passare il tempo fino al fischio finale.

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MONDIALE PER CLUB: Barcelona-America 4-0: Gudjohnsen; Marquez; Ronaldinho; Deco.

Non c'è stata proprio partita. Mi aspettavo sì un Barça vincitore, ma pensavo soffrisse di più, vuoi per il livello teoricamente attendibilissimo dell' avversario, vuoi per gli effetti del fuso orario, che avrebbero potuto affliggere un Barça arrivato soltanto due giorni fa in Giappone.
Invece il divario è stato semplicemente abissale: l' America aveva sì l'intenzione di colpire in contropiede la difesa alta blaugrana (come poteva fare Claudio Lopez ad inizio partita), aveva pure messo Cuevas al posto di Blanco come avevo auspicato, ma il Barça è sceso in campo arciconvinto sin dal primo minuto e, trovando il gol con Gudjohnsen già all' undicesimo, ha messo la partita in cassaforte.
Da quel momento è stata un' esibizione pura e semplice di calcio sublime: la differenza l'hanno fatta non solo l'ovvia, inaccessibile, superiorità tecnica, ma anche un gioco di squadra perfettamente collaudato: giocate di prima mai fini a se stesse, perchè il movimento senza palla fornisce sempre soluzioni utili. Se ci aggiungiamo che l'abilità dei singoli fa circolare il pallone alla velocità della luce e lo fa filtrare in spazi impossibili, abbiamo il ritratto del Barça. Magia dei singoli e collettivo, esemplare il gol di Gudjohnsen: Iniesta scambia con Deco, Deco serve Ronaldinho che si è inserito fra le linee, Ronaldinho serve di prima con un colpo di tacco Iniesta, che ha seguito l'azione e si è inserito al limite dell'area, dal quale serve Gudjohnsen, che nel frattempo si era smarcato sulla sinistra per occupare la zona lasciata libera da Ronaldinho, il quale risolve prendendo in controtempo Ochoa.
L'esatto opposto l'America: una squadra con buone qualità tecniche, ma che non fa mai nulla per alzare i ritmi sulla trequarti avversari. Non un movimento interessante (a parte Claudio Lopez, svuotato peraltro della sua antica ipervelocità), tutti che toccano il pallone trenta volte a testa, tutti che vogliono il pallone sui piedi e che partono a turno con iniziative individuali velleitarie, per quanto i fondamentali non manchino ai singoli (come ad esempio all' ottimo Castro, da portare subito in Europa). Sinceramente, e mi sbilancio un po' visto che non sono un habituée delle partite delle Aguilas, i messicani, sia contro il Jeonbuk che contro il Barça, mi hanno dato l'idea di una squadra che gioca un calcio sorpassato, al piccolo trotto. Molto probabile che, anche contro una squadra meno "marziana" come poteva essere il Liverpool dell' anno scorso, avrebbero mostrato questa loro inadeguatezza.
E' stato quindi uno show, del quale i principali protagonisti son stati gli uomini dal centrocampo in su: un Iniesta come al solito perfetto, sempre la cosa giusta al momento giusto e sempre nel modo più elegante (dei giocatori del Barça è quello che, quando entra in azione, più di tutti mi dà l'impressione di non poter perdere mai il pallone), un Deco imbarazzante per qualità, completezza e continuità (fantastico il suo gol, splendido l'esterno con cui smarca Giuly nell' azione del gol di Ronaldinho: tutto un fiorire di giocate son la suola e di "sombreros") e un Ronaldinho che ha saziato quei tifosi giapponesi che in tribuna deliravano per lui: magari a volte un po' troppo "star" (preferisco, semplice simpatia personale, la discrezione e il lavoraccio degli Iniesta e dei Deco), ma sempre geniale, come quando sfiora il capolavoro a fine partita, un pallonetto dal limite dell' area che impatta sulla traversa.

Ora la finale con l'Internacional, che ieri si è qualificata battendo con un sofferto 2-1 l'Al Ahly. La partita l'ho vista distrattamente, per cui non ho potuto farvi un commento approfondito.
Comunque, i brasiliani mantengono le loro caratteristiche, che già vi avevo illustrato parlando della Libertadores (è ancora abbastanza attuale quel post): partiti Tinga, Bolivar, Jorge Wagner e Sobis, resta una squadra senza stelle assoluto, ma dal buon livello generale e dal notevole affiatamento: un blocco che sa giocare un calcio dinamico e aggressivo, sicuramente molto più dell' America. I moduli possibili restano due: o il 4-2-2-2 (con Fernandao che ora fa da Tinga, mezzapunta sul centro-destra) oppure il 3-5-2, che verrà probabilmente approntato per un Barça più che mai temibile.
Le variazioni rispetto alla Libertadores sono per l'appunto l' arretramento del versatile e intelligente Fernandao, con la coppia d'attacco composta ora da Iarley e dal 17enne Alexandre Pato, accreditato di potenzialità fenomenali (in gol contro l'Al Ahly) e la presenza, come terzino sinistro in sostituzione di Wagner, del peruviano Hidalgo, rivelazione coi paraguaiani del Libertad nell' ultima Libertadores, dotato di un sinistro eccezionale.
L'Internacional è secondo me squadra più debole rispetto al Sao Paulo dell' anno scorso (e anche rispetto al Sao Paulo che ha battuto nella finale della Libertadores), che in una serie di partite tipo finale NBA non avrebbe scampo contro il Barcelona, ma che in partita secca ha tutti i mezzi per combinare lo scherzetto, se non la si affronta con la dovuta attenzione.

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lunedì, dicembre 11, 2006

MONDIALE PER CLUB: America-Jeonbuk 1-0: Ricardo Rojas.

Sofferta e non troppo meritata vittoria per un pessimo Club America, che rischia di smentire gli scontati pronostici della vigilia impantanandosi fino al 78' contro un tostissimo Jeonbuk, disposto al meglio dallo stratega Choi Kang Hee.
Presuntuosi e con la testa forse già al Barcelona (che li attenderà in semifinale), i messicani si rivelano incapaci di alzare i ritmi sulla trequarti e il loro palleggio ruminato (molto messicano) non scombina minimamente il 4-4-2 coreano, corto, stretto, impreziosito dall' entusiasmo delle grandi occasioni e da risorse atletiche inesauribili, con minimo due giocatori per volta pronti ad aggredire il portatore di palla avversario. Gli unici pericoli l'America li crea attraverso estemporanee iniziative dei solisti oppure sfruttando i limiti individuali che inevitabilmente affiorano nelle fila dei coreani quando la loro difesa viene messa sotto pressione, come capita nell'occasione in cui Claudio Lopez per poco non castiga una folle uscita sulla sua trequarti del portiere Kwoun Sun Tae.
I messicani si schierano con un 4-3-3: il giovane Ochoa in porta, in difesa da destra verso sinistra Castro, elemento veloce e offensivo, il cileno Ricardo Rojas, Davino, esperto centrale, e infine Oscar Rojas, terzino sinistro meno grintoso ma forse più tecnico del compagno Castro (beh, detto così sembra più il Granma che Calcio Spagnolo...); a centrocampo Arguello e il veterano Villa, con il brasiliano Fabiano Pereira, acquistato ad hoc per questo mondiale, deputato a mansioni più offensive (non mi ha convinto molto, mi è piaciuto di più il vivace Mosqueda, quando è entrato); tridente composto dal lento e goffamente lezioso Cuauhtemoc Blanco (non lo sopporto proprio, è un pallone gonfiato: aumenta la mia stima per La Volpe che non lo ha portato agli ultimi mondiali, infischiandosene dei tumulti dei tifosi dell'America), che dalla destra arretra sulla trequarti, dal centravanti paraguaiano Cabanas, compatto e dal destro secco e infine dal Piojo Lopez (i movimenti astuti e la qualità restano, ma qualche annetto comincia ad accusarlo), che parte da sinistra per poi tagliare nel mezzo e agire da seconda punta.
Come detto, la partita rimane congelata e, col passare dei minuti, Choi Kang Hee, che vede i suoi sempre più comodi in campo, comincia ad assaporare il colpaccio: per aumentare il potenziale offensivo, toglie già alla mezzora del primo tempo Wang Jung Hyun e immette il trequartista brasiliano Rafael Botti, che va ad assistere in attacco il suo connazionale 23enne Zé Carlo.
Non solo l'America non sfonda, ma nel secondo tempo comincia pure a rischiare la figuraccia, con Ochoa (uno dei migliori giocatori della squadra di Città del Messico, senza dubbio) che deve fare appello a tutte le sue qualità per sventare una conclusione sotto misura di Rafael Botti prima e un'altra di Zé Carlo poi, che sulla sinistra umilia in uno contro uno Ricardo Rojas e si presenta davanti al portiere messicano.
Ma, nel momento migliore dei coreani, arriva il gol decisivo, in un'azione confusa e casuale, su un traversone dalla destra che Ricardo Rojas (fino a quel momento uno dei peggiori in campo, sempre insicuro e falloso) si trova a spingere in rete non si sa neanche come. I coreani provano il tutto per tutto nel finale, ma il tempo e la qualità a disposizione sono troppo ridotte per riuscirci.

Onorevolissima figura del Jeonbuk, che oltre ai due attaccanti brasiliani (ormai tutti hanno il proprio brasiliano in squadra), ha proposto dignitosi elementi indigeni, come il 19enne terzino sinistro Choi Chul Soon, veloce, spigliato e attento in copertura, e i due esterni di centrocampo, il 25enne Chung Jung Kwan a destra e il 22enne Kim Hyeung Bum a sinistra, coraggiosi nel puntare l'uomo e, quando serve, non liberarsi subito del pallone, aspettando il momento in cui l'avversario perde la posizione o l'equilibrio per tentare il dribbling o comunque il passaggio buono, segno questo che distingue i giocatori di qualità.
Dalle tribune del National Stadium di Tokyo (la sede della vecchia Coppa Intercontinentale) hanno spiato l'America Rijkaard, Neeskens ed Eusebio, ma probabilmente gli appunti presi non serviranno a molto, perchè la partita di giovedì presenterà un contesto tattico radicalmente diverso rispetto a quella di oggi. L'America tenterà l'imboscata in contropiede, strategia ancora più opportuna se al posto della palla al piede Blanco i messicani dovessero inserire la velocità del paraguaiano Cuevas, con tanti saluti ad eventuali contestazioni del "Temo".
C'è da tenere in conto anche un precedente: nella tournée di quest'estate Barça e America si erano già sfidate e, prima della rimonta finale (4-4), fino all' 85' il risultato era di 4-1 per i messicani. Poi c'è la presenza di Claudio Lopez, incubo di Van Gaal ai tempi in cui il Valencia di Ranieri, in contropiede, trionfava ogni anno nelle praterie del Camp Nou...

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QUATTORDICESIMA GIORNATA: ALTRE PARTITE.

Athletic Bilbao-Recreativo 4-2: autorete Dani Bautista (A) 5'; Urzaiz (A) 27'; Urzaiz (A) 41'; Uche (R) 54'; Garmendia (A) 58'; autorete Sarriegi (R) 87'.

Racing-Zaragoza 0-2: Diego Milito 59'; Lafita 79'.

Celta-Villarreal 1-1: Baiano (C) 16'; Forlan (V) 64'.

Nàstic-Levante 2-1: Riga (L) 27'; David Garcia (N) 40'; Rubén Castro (N) 75'.

Getafe-Betis 1-1: Guiza (G) 51'; Juanito (B) 84'.

Osasuna-Mallorca 3-0: Milosevic 59'; Javier Flaño 67'; Puñal, rig. 79'.



CLASSIFICA

1 Barcelona 33
2 Sevilla 31
3 Real Madrid 29
4 Zaragoza 26
5 Atlético 24
6 Getafe 22
7 Recreativo 22
8 Villarreal 22
9 Valencia 21
10 Celta 19
11 Espanyol 19
12 Osasuna 17
13 Mallorca 17
14 Deportivo 17
15 Racing 15
16 Levante 14
17 Athletic 11
18 Betis 10
19 Gimnàstic 8
20 R. Sociedad 6



CLASSIFICA CANNONIERI

1 Ronaldinho 11
2 Kanouté 11
3 Diego Milito 11
4 Van Nistelrooy 8
5 Villa 7

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QUATTORDICESIMA GIORNATA: Valencia-Deportivo 4-0: Angulo; Villa, rig.; Villa; Vicente.

L’incontro fra le due grandi malate della Liga lascia il solo Deportivo nel fango. Ben lontani i prematuri entusiasmi di inizio stagione. Le dichiarazioni di Caparros, che individua l’obiettivo del Depor in un ambiziosissimo “piazzarsi fra le prime diciassette” non sono dettate da eccessiva prudenza, ma da un’analisi obiettiva. La cosa che preoccupa è che ora i galiziani oltre ad accusare la consueta inconsistenza offensiva, cominciano pure a perdere la serietà e l’organizzazione in fase difensiva, cioè le fondamenta sulle quali Caparros ha costruito la sua squadra.
Si risolleva pienamente il Valencia, e lo fa con una prestazione davvero completa, aggressiva e continua nel pressing in fase di non possesso, piacevole e fluida in fase di possesso, con quelle transizioni veloci e in pochi tocchi che caratterizzano da anni le migliori versioni della squadra del Mestalla. Ottenere tutto ciò poi è molto più facile, quando puoi finalmente tornare a schierare assieme due colonne come Albelda e Baraja a centrocampo.
Strada subito in discesa, col gol di Angulo che punisce subito un errore di piazzamento della difesa del Depor, con Arbeloa che abbandona Vicente, Lopo fuori posizione e Juanma costretto ad allargarsi sulla fascia e lasciare spazio ad Angulo (celebrato un minuto di silenzio per la morte di sua madre) al centro dell’area , il quale sigla l’1-0 sull’invito di Vicente. Belle sensazioni dal Valencia, quando poi Villa ottiene un calcio di rigore, provoca (con una simulazione, maledetto) la seconda ammonizione di Juanma e segna dagli undici metri il 2-0, la partita è da considerarsi definitivamente chiusa.
Secondo tempo in scioltezza, con spazio per la doppietta di Villa, le giocate sontuose di Joaquin e il sigillo finale di Vicente. Mi son divertito.

I MIGLIORI: Quanto è pesata l’assenza di uno come Albelda! E’appena tornato da un infortunio di due mesi, ma gioca tutti i 90 minuti sui suoi ritmi, feroce nello sradicare i palloni e tatticamente fondamentale.
Quanto è importante il ritorno di Baraja! Geometrie, idee chiare, palla giocata di prima sugli esterni e splendido assist in profondità (“alla Baraja”) per il 3-0 di Villa. Il “Guaje”, molto disonesto nei confronti del collega Juanma nella simulazione del 2-0, torna finalmente al gol e fa la sua solita partita, ricca di guizzi su tutto il fronte d’attacco (ogni tanto si atteggia un po’ ad Henry della situazione), ribadendo le sue straordinarie qualità, non solo bomber dal grande fiuto, ma pure squisito attaccante di manovra (eccellente il lancio per Vicente che avvia l’azione dell’1-0 di Angulo) e grande trascinatore. Ficcante Vicente, manda in solluchero noi tutti la mezz’oretta disputata da Joaquin: va bene che la partita era già chiusa e in discesa, ma abbiamo visto di tutto, dai dribbling sul fondo ai lanci d’esterno, dallo stop volante raffinatissimo sempre con l’esterno del piede alle travolgenti percussioni palla al piede con cambio di ritmo devastante e avversari saltati come birilli. Peccato che di fronte a cotanto splendore la prima domanda che viene da farsi sia: ma fra quanti anni lo rivedremo giocare così?
Nel Deportivo, è piaciuto l’ingresso di Verdù (che ha perso il posto dopo essersi spento nelle ultime partite), che sa giocare a calcio eccome, lo dimostrano le ottime intuizioni in rifinitura.
I PEGGIORI: Malissimo tutto il Depor: in difesa Arbeloa, una delle rivelazioni in quest’inizio di stagione, frana sulla fascia destra, colpevole sul primo gol, dove Lopo si fa risucchiare da Villa. Lopo inoltre subisce anche un infortunio che a prima vista è parso abbastanza serio. Serataccia anche per Juanma, espulso per doppia ammonizione: il primo intervento su Silva è da delinquente, ma il secondo su Villa è sul pallone, e non c’erano né rigore né espulsione.
Disastroso il centrocampo, sopraffatto dalla prepotenza di Albelda e Baraja e gravemente deficitario nella costruzione del gioco: Coloccini non funziona più da mediano come ad inizio stagione, Sergio non mostra né dinamismo né idee.
Uno come Juan Rodriguez deve correre e basta, altro che giocare sulla trequarti.


Valencia (4-4-2): Cañizares 6; C. Torres 6,5, Albiol 6,5, D. Navarro 6, Cerra 6; Silva 6,5, Albelda 7, Baraja 7 (75'), Vicente 7; Angulo 6,5 (56'), Villa 7 (77').
In panchina: Butelle, Ayala, Joaquín 7 (56'), Tavano (77'), Viana 6 (75'), J. López, Pallardó
Deportivo (4-2-3-1): Aouate 6; Arbeloa 5, Lopo 5,5 (59'), Juanma 5, Capdevila 5,5; Sergio 5, Coloccini 5; Arizmendi 6 (68'), J. Rodríguez 5, Filipe 5,5; Riki 5 (51').
In panchina: Munúa, M. Pablo 5,5 (59'), Barragán, De Guzmán, Verdú 6,5 (51'), Adrián 6 (68')

Goles: 1-0 (9'): Angulo empuja un buen pase de Vicente; 2-0 (38'): Villa, de penalti; 3-0 (74'): Villa, regatea a Aouate tras pase de Baraja; 4-0 (90+'): Vicente, de tiro cruzado.
Árbitro: Delgado Ferreiro, del Col. Vasco. Expulsó a Juanma en el minuto 37. Amonestó a Lopo (32') y a Arbeloa (85').
Incidencias: Mestalla. 45.000 espectadores. Se guardó un minuto de silencio en memoria de la madre de Angulo, María Isabel Valderrey.

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domenica, dicembre 10, 2006

QUATTORDICESIMA GIORNATA: Atlético Madrid-Espanyol 1-2: Tamudo (E); Torres (A); Luis Garcia (E).

Continua la maledizione casalinga per l’Atlético. Stavolta è l’Espanyol, una delle squadre più in forma in assoluto (non perde da decenni ormai) a espugnare il Vicente Calderon, e nel mentre il Zaragoza, che ha vinto 2-0 a Santander, torna al quarto posto, due punti sopra gli uomini di Aguirre.
Il copione ha il solito inizio: gol concesso agli avversari e strada in salita. Chi si incarica della frittata stavolta è Perea, che perde un pallone impossibile da perdere e spiana all’Espanyol l’autostrada verso il vantaggio, percorsa con nonchalance da De la Pena, Luis Garcia e infine da Tamudo, che mette dentro a porta vuota. Quindi si prosegue con gli ospiti che ripiegano (già visto), l’Atlético senza idee (già visto anche questo) che spreca un gol quasi fatto con Maniche (aridaje…) e che nel secondo tempo aumenta la foga dei suoi attacchi (uffa!), combinando il solito casino pazzesco. Pandemonio che almeno frutta il gol del pareggio, col cross del generoso Galletti alzato dalla deviazione di un difensore avversario e incocciato da Torres col suo testone.
La partita sembra pendere di più verso l’Atlético, ma non sono stati fatti i conti fino in fondo con il micidiale potenziale offensivo catalano: Luis Garcia, su una punizione da 25 metri circa, si fa fermare il pallone e lo incasella giusto giusto all’incrocio: prodigio! Aguirre ci prova con Jurado, Torres ci prova tutto da solo, ma niente da fare, perché gioco e tranquillità brillano per la loro assenza e perché l’Espanyol resta ben attestato sulle sue posizioni (con l’ingresso di Costa a rinforzare la mediana).
L’Espanyol ha trovato solidi equilibri e di partita in partita accumula certezze, prima fra tutte quella che con Luis Garcia e Tamudo là davanti e De la Pena in cabina di regia le soluzioni offensive e l’imprevedibilità delle stesse aumentano sensibilmente.

I MIGLIORI: Non si può non partire dal triangolo delle meraviglie che dà lustro all’attacco dell’Espanyol, cioè De la Pena-Tamudo-Luis Garcia. Le due punte sono micidiali nel tenere in apprensione la difesa dell’Atlético coi loro scatti sul filo del fuorigioco, Luis Garcia è l’uomo-partita con la sua punizione da artista.
Chi conosce a memoria i movimenti degli attaccanti e li innesca da gran maestro è De la Pena (l’ho già detto che per me è il miglior uomo-assist del calcio europeo, peccato che troppe altre fondamentali carenze ne abbiano compromesso la carriera). Su livelli soprannaturali domenica scorsa contro il Sevilla, stavolta si limita a una partita solamente ottima, amministrando con classe e genialità e compiendo sempre la scelta migliore, come nell’azione del gol di Tamudo, apparentemente semplicissima ma facilmente rovinabile da tanti brocchetti che purtroppo infestano i campi di calcio al giorno d’oggi.
Torres non è semplicemente il migliore dell’Atlético, è l’Atlético in persona: oltre al gol, crea un paio d’azioni pericolose completamente da solo, rivelandosi particolarmente produttivo quando si allarga sulle fasce per puntare l’avversario. Tende a volte a mangiarsi il pallone e a strafare, ma, giocando in una squadra che da anni lo supporta da cani, è un’ abitudine comprensibilissima. Un pochino più di visione di gioco, di vivacità nel dribbling: nulla di trascendentale, ma quando lo vedremo Jurado dall’inizio? Continuità sulla destra da Seitaridis.
I PEGGIORI: Ha voglia ad allungarsi in acrobazia, a recuperare a mille all’ora, ma il peccato originale di Perea resta indelebile. Regala il vantaggio all’Espanyol in un’inizio di partita pieno di gaffes nei disimpegni. Peccato che di tanto in tanto il colombiano rovini con la deconcentrazione un potenziale atletico mostruoso. Per quanto riguarda Aguero vale il solito discorso dei palloni infimi che gli vengono forniti, ma il giovanissimo (ricordiamolo) Kun ci aggiunge un bel po’ di candore nel gestire le situazioni. Mista non ha cambiato certo le cose.


Atlético Madrid (4-4-2): Leo Franco 6; Seitaridis 6,5, Zé Castro 6, Perea 5, Pernia 5,5; Galletti 6, Luccin 6, Maniche 6, Antonio Lopez 5,5 (dal 6’s.t. Jurado 6,5); Aguero 5,5 (dal 24’s.t. Mista 5,5), Torres 7,5.
In panchina: Pichu, Pablo, Valera, Gabi, Costinha.
Espanyol (4-4-1-1): Kameni 6,5; Zabaleta 6, Torrejon 6, Jarque 6,5, Chica 6; Rufete 5,5 (dal 28’s.t. Eduardo Costa s.v.), M.Hurtado 6, De la Pena 7, Moha 6; Luis Garcia 7,5 (41’s.t. Velasco s.v.); Tamudo 6,5 (dal 30’s.t. Pandiani s.v.).
In panchina: Iraizoz, Lacruz, Fredson, Coro.

Gol: Tamudo (E) 7’; Torres (A) 55’; Luis Garcia (E) 61’.
Arbitro: Ayza Gamez. Ammoniti: Perea, Galletti, Luccin per l’Atlético; Rufete, Tamudo, Torrejon, Moha.

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