Capolinea.
Più di così non ha potuto il Barça, per quanto contro il Manchester United i blaugrana abbiano disputato due gare tutto sommato dignitose. Ci sono dei limiti oggettivi oltre i quali non si può andare, ancora di più quando la posta in palio è una finale di Champions League. Ancora una volta il Barça ha evidenziato una difficoltà gigantesca, insuperabile nel creare occasioni contro difese schierate. Nessun gol nelle ultime quattro partite fra Champions e Liga, e non è proprio il caso di parlare di coincidenze o di una semplice serie sfortunata. Questa squadra è strutturalmente incapace di sfruttare tutto il campo nella sua ampiezza e profondità, e la cosa risalta ancora più tristemente quando pure ce la mette tutta come stasera o come mercoledì scorso.
Ha detto Ferguson alla vigilia: “Il Barça gioca bene, ma gioca sempre allo stesso modo”. Ovviamente quella che gioca bene l’ ha detta per gentilezza, ma l’ altra parte della frase coglie nel segno, e si ricollega anche alle dichiarazioni del tecnico del Deportivo Lotina, il quale da parte sua alla vigilia della partita di sabato scorso disse che quella col Barça è la partita più facile di tutte da preparare per un tecnico.
I blaugrana non ti propongono mai alcuna variante significativa, non ne hanno nemmeno la possibilità in organico, basta quindi che tu avversario del Barça affolli la tua metacampo con otto giocatori e il resto lo fa la monotonia della manovra e la disperante uniformità di caratteristiche dei talenti offensivi di Rijkaard. Palla sul piede-conversione verso il centro-triangolazione oppure azione individuale contro sei-sette difensori: il Grande Imbuto che ogni volta immancabilmente si ripete.
Non c’è alcuna possibilità di variazione: i terzini non danno la minima profondità o le poche volte che riescono a darla o hanno dei ferri da stiro al posto dei piedi (ancora una volta imbarazzante Abidal, e ancor più imbarazzante Rijkaard che non ha mai pensato ad inserire Sylvinho, col risultato che il Barça per tutti i 90 minuti non ha mai avuto una fascia sinistra, sommando anche le prestazioni pessime di Iniesta ed Henry) o comunque non trovano riferimenti credibili al centro dell’ area, dato che il Barça è una delle poche squadre al mondo a non contemplare l’ opzione del gioco aereo; inoltre non esistono o comunque sono limitatissime le possibilità di inserimento o di tiro da fuori da parte dei centrocampisti.
Poco movimento, l’ azione ristagna a centrocampo senza la possibilità di allargare o cambiare gioco rapidamente verso l’ altra fascia, la manovra è statica e sonnolenta, l’ unica possibilità di verticalizzare viene dal buon cuore di Messi, che prende palla e innesca lo schema di emergenza “Solo contro il Mondo”. Ancora una volta l’ unica minaccia credibile l’ argentino, impressionante vedere l’ imbarazzo negli occhi dei difensori avversari, che indietreggiano, non sanno quando e come intervenire, preda del panico… Cristiano Ronaldo è più completo, ma è lui il più forte, così la penso.
Purtroppo parlando del Barça devo ripetere lo stesso discorso di sempre, scusate tanto se vi annoio, ma non mi viene altro in mente: chiunque conosca il Barça di quest’ anno sapeva che, sebbene segnato appena al 14’, il gran gol di Scholes costituiva già un macigno quasi irremovibile, e che Ferguson gongolava al tipo di partita che il prematuro vantaggio gli avrebbe permesso di impostare già da quel momento.
Era partito abbastanza bene il Barça: con la mentalità giusta, disposto bene sul campo come la settimana scorsa, col baricentro alto, cercando di portare il terreno della contesa più vicino possibile alla porta di Van Der Sar, intenzionato a verticalizzare negli spazi in più che lo United era disposto ad offrire rispetto al match di andata.
Ovviamente l’ incaricato di portare il pericolo è Leo Messi, e su una delle sue incontenibili incursioni rischia subito di prodursi un avvio-shock tipo quello dell’ andata: di un pelo non è rigore il fallo di Scholes sull’ argentino, e ancora rimane un dubbio difficile da risolvere (la mia opinione è che il piede di Scholes pesti la linea, ma che la punta del piede tocchi Messi appena appena fuori dall’ area). E’ il Barça comunque a fare la partita nel primo quarto d’ ora, sembra scongiurato il temuto arrembaggio dei padroni di casa, gli ospiti gestiscono bene i ritmi e danno l’ impressione di poter innescare le accelerazioni giuste sulla trequarti.
Tuttavia partite equilibrate come queste vengono spesso risolte dai dettagli, ed è un dettaglio non da poco quello che vede Zambrotta regalare a Scholes il pallone che vale l’ 1-0: inammissibile il rinvio rasoterra verso il centro, un assist troppo goloso per Scholes che calcia quasi un rigore da fuori area, con tutto il tempo per prendere la mira, comunque una gran sassata all’ incrocio, questo sì. Errore in tutto e per tutto simile a quello che regalò a Baraja un gol decisivo nella semifinale di Copa del Rey, errore che rovina la partita per il resto generosa e su ottimi livelli atletici dell’ italiano.
Dopo il gol il Barça accusa il colpo, e vengono i momenti migliori per lo United: una fase di vera e propria furia dei Red Devils, davanti alla quale il Barça barcolla e rischia di non uscire vivo. Gli inglesi alzano il pressing e il ritmo fino a livelli intollerabili per i blaugrana, che pressati nei due difensori centrali non riescono più a trovare i collegamenti col centrocampo ed elaborare gioco.
Gli attacchi dello United gravitano soprattutto sulla fascia sinistra, la destra del Barça, la più vulnerabile in tutta l’ annata degli uomini di Rijkaard, che hanno sempre trovato difficoltà a proporre le coperture e i raddoppi giusti in quella zona: Cristiano Ronaldo parte da teorico centravanti ma si allarga frequentemente, Park incrocia e cambia posizione col portoghese, e si aggiungono pure le sovrapposizioni di Evra. Superiorità numerica che costringe il Barça a slittare verso quella zona, aprendo però varchi al centro per gli inserimenti degli incursori avversari. Una dinamica di questo tipo produce un’ occasione importante per Park, servito al limite dell’ area da Cristiano Ronaldo che gli aveva creato lo spazio proprio tagliando dal centro verso sinistra.
Va detto però che questa fascia non è solo la più produttiva per lo United, ma quella in cui globalmente la partita si rivela più fluida e aperta ad ogni possibile sviluppo: in essa le frequenti avventure di Evra aprono spazi per i ribaltamenti di Messi, che proprio in un’ azione individuale conclusa con tiro a girare verso il secondo palo impegna seriamente Van Der Sar. In queste prime fasi del match lo United evidenzia qualche difficoltà a porre un argine a questa situazione, poi col passare dei minuti Brown prenderà meglio le misure (ottima partita dell’ inglese, sveglio e reattivo in tutte le situazioni).
Il Barça sopravvive comunque a questa fase di forcing dei padroni di casa, e nell’ ultimo quarto d’ ora del primo tempo torna padrone della situazione. In quest’ altalena si evidenzia la differenza fra le due squadre, concepite entrambe sulla base di una filosofia offensiva declinata tuttavia in maniera assai diversa: il Manchester si esalta e travolge l’ avversario quando i ritmi si fanno alti, il Barça è più a suo agio nel gestire il possesso-palla con pazienza.
Così quando lo United nelle ultime fasi del primo tempo ritira il pressing e riprende a ripiegare nella sua metacampo, gli ospiti trovano modo di riproporre le loro geometrie. E’ un buon momento per il Barça, perché lo United dà l’ impressione di essere piuttosto vulnerabile nello spazio fra difesa e centrocampo: alle spalle di Carrick e Scholes, i difensori centrali tendono più a rinculare che ad accorciare, e così si crea uno spazio nel quale le mezzeali blaugrana possono chiedere triangolo ad Eto’o e portarsi al limite dell’ area avversaria con relativa facilità. Il più attivo è Deco (complessivamente positiva la prova del portoghese), che in un paio di occasioni arriva a sferrare il destro dal limite, in entrmabi i casi a lato non di tanto. C’è poi un colpo di testa a botta sicura mancato per un soffio da Milito su punizione dalla destra di Xavi, ma dall’ altra parte va annotato anche il colpo di testa di poco a lato di Nani.
La ripresa vede un illusorio avvio all’ attacco degli ospiti, ma presto gli equilibri cominciano a cristallizzarsi: Manchester sempre più dietro, con otto nella sua metacampo, ma pronto a proporre il contropiede a differenza dell’ andata (stupenda la triangolazione supersonica al limite dell’ area fra Cristiano Ronaldo e Tevez, con sinistro finale dell’ argentino sventato da Valdés); Barça sempre più appiattito nella sua manovra e costretto a sbattere contro un muro. Rijkaard prova coi cambi, e toglie i due uomini forse più deludenti della serata, ovvero Iniesta ed Eto’o.
Excursus sui due: per quanto riguarda Iniesta, mi suonano fin troppo opportuniste e superficiali le critiche che accusano Rijkaard per aver messo lui e non Henry nel tridente. Al di là del fatto che dal suo ingresso Henry ha dimostrato meno che nulla (puntalo Titi, puntalo! E la passa indietro al centrocampista…), non si può dire che Iniesta sia stato costretto in un ruolo non suo o che fosse un giocatore in meno già in partenza: in realtà ha già giocato, e bene, sulla sinistra del tridente già in tante altre occasioni, e in ogni caso questo è un ruolo che gli concede ampia libertà per accentrarsi ed esprimere quel gioco da trequartista che è pienamente nelle sue corde.
Il punto non è, come ha detto in diretta Compagnoni di Sky, che Iniesta ha giocato male perché fuori ruolo, il punto è che Iniesta ha giocato male solo ed esclusivamente per colpa sua, perché, duole dirlo, non all’ altezza in termini di personalità. E’ una delle prime volte che rimango così deluso da questo giocatore, e però avevo già segnalato come giocando più vicino all’ area avversaria egli dovesse di molto aumentare la cattiveria al momento di decidere ed eseguire la giocata decisiva sulla trequarti: Luis Aragonés lo vede come il vero numero 10 della Spagna, ma a questo proposito gli ha rimproverato, secondo me cogliendo nel segno, di denunciare a tratti una mentalità ancora troppo “da numero 4”, di chi si accontenta del passaggio comodo invece che andare fino in fondo. Stasera Iniesta è rimasto ai margini della partita, lontano dal proporre qualcosa d’ incisivo, e ha finito col lasciare solissimo Messi nell’ arduo compito di creare la superiorità numerica.
Per ciò che concerne Eto’o, devo invece notare che, a parte la grande doppietta sul campo del Recre, questo giocatore negli ultimi tempi pare un po’ avere annacquato quell’ esplosività che faceva la differenza negli ultimi metri. Indiscutibile come al solito il suo lavoro senza palla, il camerunese non ha mai dato l’ impressione di poter rubare il tempo e sorprendere i difensori avversari, mostrandosi anzi piuttosto confuso e impreciso quando col pallone fra i piedi.
Volenteroso Bojan, in elegante ma sempre più sterile surplace Henry, i cambi hanno aggiunto poco o nulla, mentre Sylvinho continuava a marcire in panchina e la fascia sinistra del Barça a non esistere. Col Manchester che dal 4-4-2 passava ad un ancora più coperto 4-1-4-1, il Barça finiva col raggiungere quella condizione d’ impotenza ricordata ad inizio articolo e sin troppo familiare nel corso di questa stagione. L’ ultimo cambio giocato da Rijkaard è Gudjohnsen per Touré, che ci può anche stare per aggiungere forza d’ urto negli inserimenti, se non fosse che eseguito all’ 87’ può dire ben poco, in un recupero il cui ritmo viene peraltro spezzato, a tutto vantaggio del Manchester United, da un infortunio occorso ad Evra.
È il capolinea che più o meno tutti, chi a gran voce chi tacitamente, attendevano per il ciclo del Barça di Rijkaard. Quattro anni di successi notevoli, tutti concentrati però nel biennio 2004-2006, ma che lasciano l’ amaro in bocca a chi pensa che potessero offrire molti più trofei, soprattutto vista la concorrenza in campo nazionale. La squadra ha perso le basi tattiche e di mentalità che l’ avevano portata al successo, ed è impossibile in tal senso non richiamare le responsabilità di chi è principalmente… responsabile di questi aspetti, e cioè il tecnico.
Io non son mai stato fra quelli che in tempo di vittorie sminuivano Rijkaard attribuendo ogni merito alle individualità, per me il Barça 2004-2006 era la miglior miscela di individualità e collettivo, un collettivo con un’ identità tattica sempre perfezionabile ma comunque forte e riconoscibile. Tutte queste cose però son scomparse dopo che il club ha fatto il pieno di vittorie nel 2006, e Rijkaard ha dimostrato di non riuscire a gestire questa transizione (dalla fame di successo alla gestione del successo), son stati ripetuti fino alla noia gli stessi errori e Frank non ha mai raddrizzato la rotta, forse anche perdendo il controllo dello spogliatoio (anche se su quest’ aspetto le uniche fonti sono le indiscrezioni giornalistiche, che lasciano il tempo che trovano). Sono emerse le sue lacune: il fossilizzarsi sul 4-3-3, l’ incapacità di trovare varianti credibili, i cambi in corsa raramente soddisfacenti, l’ insufficiente lavoro sulle palle inattive soprattutto in attacco.
Rigidità che chiamano in causa anche la pianificazione della società, in particolare Txiki Beguiristain: già in estate mi sembrava allarmante lo squilibrio presente in rosa fra giocatori che attaccano lo spazio e giocatori che la vogliono sul piede, inoltre ribadivo quanto potesse risultare determinante la scarsa spinta dei terzini. A Rijkaard è stata consegnata una rosa ricca di giocatori di talento col pallone fra i piedi, ma male assemblati, nella quale vi erano già i presupposti delle storture evidenziate quest’ anno dalla manovra.
Una rosa nella quale, anche con tutta la buona volontà del mondo, risulta difficile poter proporre variazioni significative: i centrocampisti sono palesemente da 4-3-3 (mancano esterni da 4-4-2, e i centrocampisti centrali sono o mezzeali oppure stopper avanzati davanti alla difesa, unica eccezione spendibile per il 4-4-2 Yaya Touré), gli attaccanti hanno nelle corde quasi tutti gli stessi movimenti. Si è passati lentamente e inesorabilmente da un Barça che nel 2004-2005 verticalizzava alla velocità della luce con Giuly ed Eto’o, apriva il campo con terzini-ala come Belletti e Gio (il primo Gio, che arrivava a tagliare nell’ area piccola avversaria), al Barça di adesso, che si palleggia addosso e gioca su ritmi da calcio premoderno.
Un cambiamento è d’ obbligo, e non credo che, a parte alcune partenze eccellenti come quella di Ronaldinho, questo passi per una totale rivoluzione della rosa, bensì per un cambio alla guida tecnica accompagnato da ritocchi in alcuni ruoli rivelatisi non ottimamente coperti (i terzini, le alternative per l’ attacco e le alternative a Touré e Deco).
M. United (4-4-2): Van der Sar 6; Hargreaves 6,5, Ferdinand 6,5, Brown 6,5, Evra 6 (93'); Nani 6 (77'), Carrick 5,5, Scholes 6,5 (77'), Park 7; Tévez 7, Ronaldo 6,5.
Kuszczak, Welbeck, Silvestre s.v. (93'), Fletcher s.v. (77'), Giggs s.v. (77'), Anderson, O'Shea
Barcelona (4-3-3): Valdés 6; Zambrotta 5, Puyol 6, Milito 5,5, Abidal 5,5; Deco 6,5, Touré 6 (88'), Xavi 6; Messi 7, Eto’o 5,5 (71'), Iniesta 5 (60').
In panchina: Pinto , Thuram, Sylvinho, Gudjohnsen s.v. (88'), Edmilson, Henry 5,5 (60'), Bojan 6 (71')
Gol 1-0 (14'): Scholes ejecuta un trallazo desde la frontal.
Árbitro: Herbert Fandel (Alemania). Amonestó a Zambrotta (52'), Deco (54'), Carrick (63'), Ronaldo (68') y Touré (70').
Incidencias: Old Trafford. 75.061 espectadores. Presencia de unos 4.000 seguidores del Barcelona. Touré se perderá por sanción el próximo partido europeo del Barça, que será la próxima temporada.
FOTO: as.com
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