giovedì, gennaio 08, 2009

AVVISO.

Il blog va in letargo. Gli impegni personali mi impediscono di aggiornarlo fino alla fine del mese, con ogni certezza, e, con molta probabilità, mi costringeranno ad aggiornamenti assai sporadici (previsione ottimistica...) nel mese di Febbraio.
Lo spazio rimane ovviamente a disposizione per i vostri commenti, ai quali mi adopererò di rispondere, naturalmente nei tempi che mi saranno possibili.

Grazie
Valentino

martedì, gennaio 06, 2009

Il punto sulla diciassettesima giornata.

È sempre Barça, ma senza brillare. Hanno portato a casa anche questa, i dominatori della Liga, anche se con qualche stento. Stenti peraltro non del tutto imprevedibili, pensando alle circostanze: prima partita dopo la pausa e contro un avversario sulla carta morbido, le migliori condizioni perché possa agire un comprensibile doppio effetto-sazietà: sazietà per i 12 punti sul Madrid, e magari sazietà anche per le “12 uvas” del Capodanno spagnolo.
L’approccio alla gara, con alcuni assenti illustri come Messi (tribuna, nuova chance per Hleb, che non ne approfitterà) e Alves (panchina dall’inizio, Puyol va a fare il terzino destro e il canterano Víctor Sánchez, centrocampista di ruolo, fa il difensore centrale, come contro lo Shakhtar in Champions), è così decisamente inadeguato: azione paurosamente sottoritmo, movimento che scarseggia dalla trequarti in su, quindi giocate forzate e palle perse che trovano più di una volta la squadra disordinata nei ripiegamenti.
Il Mallorca tutto dietro, con una copertura intelligente degli spazi e delle linee di passaggio interne, e senza mai giocare sporco (onore a loro), e nel primo tempo con un Aduriz capace di sobbarcarsi tutta la metacampo avversaria mantenendo lucidità e pericolosità nei ribaltamenti. Da Oscar il gol con cui il basco gela il Camp Nou: c’è sì una palla gravissima persa da Yaya Touré, ma il resto se lo inventa tutto Aritz, che piazza uno scatto bruciante evidenziando quanto non-difensore sia Víctor Sánchez (ma ciò non vuol dire che la scelta di Guardiola fosse assurda…è risaputa la predilezione di Pep per i giocatori capaci di iniziare l’azione sin dalle retrovie, a maggior ragione comprensibile contro squadre tutte sulla difensiva), salutando tutti e chiudendo con un pallonetto sopra Valdés che ne sottolinea la nota freddezza nell’uno contro uno coi portieri.
Il Barça attacca con poco ordine, con Touré che tenta l’improvvisata palla al piede in assenza di movimenti e fluidità fra la trequarti e l’attacco, ma perlomeno i blaugrana aumentano il ritmo verso la metà della prima frazione, forzando in pochi minuti la resistenza maiorchina e ottenendo il pareggio con Henry sugli sviluppi di un calcio d’angolo.
Nella ripresa il Mallorca perde la capacità di tenere su palla e ribaltare l’azione con Aduriz (certamente stremato per il lavoro più ingrato che un calciatore possa svolgere: unica punta di una squadra piccola al Camp Nou), così il Barça ha la certezza di poter sostare tutto il tempo sulla trequarti avversaria e aspettare il gol della vittoria. Di sbocchi però i blaugrana non ne trovano molti: provano a metterci più ordine, ma manca la brillantezza per sfondare. Il Mallorca come detto stringe al centro per chiudere le linee di passaggio interne, così l’unica via è cercare di allargare l’azione. Puyol in particolare è inappuntabile per quanto riguarda i movimenti offensivi: parte alto come un’ala, attacca lo spazio, ma quando giochi contro un avversario così chiuso questo può non bastare, essendo richieste capacità di palleggio nello stretto e magari anche dribbling.
Quello che ha Alves, che offre un po’ più di profondità col suo ingresso, che combinato con quello di Iniesta, al rientro dall’infortunio, intende dare un po’ più di imprevedibilità all’azione offensiva. Qualcosina si vede, con il manchego (al posto di uno spento Hleb) a svariare nel tridente introducendo qualche dubbio nel sistema difensivo maiorchino, ma soprattutto in gol, il gol più facile del mondo, appoggio a porta vuota su assist di Gudjohnsen partito in posizione irregolare per la giustificata ira dei giocatori ospiti. Con i buoi già scappati dalla stalla, Touré arrotonda con un bello slalom dentro l’area e una fucilata sul primo palo. La media di tre gol a partita è salva e, aiuto arbitrale a parte, il Barça ha ribadito ancora una volta, dopo il Clásico e dopo il Madrigal, uno spirito di squadra e una mentalità vincente capaci di venire a capo delle partite anche quando il gioco non è dei migliori.

Valencia la prima inseguitrice, si fa per dire. Importante vittoria per il Valencia e forse ancor più significativa sconfitta, ennesimo grande esame fallito, per l’Atlético. I colchoneros non ne azzeccano una contro le colleghe d’alta classifica: qui non credo sia il caso di tirare in ballo le storiche carenze di gioco (evidenti soprattutto nelle gare contro squadre di medio-bassa classifica), quanto piuttosto palesi limiti di personalità. Il primo tempo degli uomini di Aguirre non è infatti accettabile per la mentalità da sparring partner col quale è stato affrontato: niente di meglio per un Valencia che al contrario ha “aggredito” il match sin dal primo minuto con ammirevole concentrazione.
La superiore, nettamente superiore, intensità è stata la chiave con la quale gli uomini di Emery hanno scardinato la partita: pressing alto sui difensori colchoneros e immediate verticalizzazioni a sguinzagliare il devastante quartetto Joaquín-Silva-Villa-Mata. Il pressing alto è una mano santa contro l’Atlético, la cui difficoltà nell’organizzare la manovra dalle retrovie è un fatto x©987ue dei tre gol valenciani vengono da palle perse dallo sciagurato Pernía sulla sua trequarti. Due gol segnati dal mattatore assoluto del match, David Silva, per ogni gourmet del calcio spagnolo che si rispetti l’altra fantastica notizia della giornata assieme al recupero di Iniesta.
Attenzione al trio che si sta ricomponendo fra il canario, Mata e Villa. È calcio puro, del quale si potrà avvantaggiare anche la nazionale. La capacità di smarcarsi e la rapidità di Mata e Villa, praticamente illeggibili per ogni difesa, si sommano all’innato senso del gioco di Silva sulla trequarti (al quale è stata aggiunta anche una buona dose di cattiveria: già all'Europeo avevamo apprezzato la maggior convinzione con la quale David cercava il tiro da fuori, e i risultati si vedono nel golazo del 3-1), l’ideale rampa di lancio e il miglior moltiplicatore possibile del potenziale di Mata e Villa.
Bene il Valencia quindi, ma bisogna comunque ricordare la fase di sofferta incertezza intercorsa fra il rigore del 2-1 di Forlán (unica decisione azzeccata dell’impresentabile Rodríguez Santiago) e il definitivo 3-1 di Silva: una fase in cui, un po’ per l’impossibilità fisiologica di mantenere l’intensità di inizio partita un po’ per il braccino corto, il Valencia si è trovato ad avere un baricentro eccessivamente basso, senza nemmeno la convinzione per cercare il contropiede.
È questo un po’il limite attuale della squadra di Emery (in un anno, ricordiamocelo, OBBLIGATORIAMENTE di transizione): una squadra che va a scatti, estremamente competitiva quando può muoversi su ritmi alti o altissimi, ma meno a suo agio quando si tratta gestire velocità più ridotte. Manca continuità, di partita in partita e all’interno degli stessi 90 minuti, nei quali questa squadra tende un po’a “slegarsi” in entrambe le fasi. Questi i punti che richiedono un preciso salto di qualità, ragionevolmente dalla prossima stagione più che in questa (ma Villa e Silva ci saranno?).

Sevilla beffato. Va bene, il gol al 90’ di Pandiani fa rabbia, per la sua dinamica quantomai casuale e per il fatto che l’Osasuna anche stavolta ha confermato tutta la propria povertà creativa (le uniche luci sono le giocate di Masoud: ok, degli obblighi tattici se ne infischia, ma resta l’unico fuori dagli schemi, per l’appunto, in una squadra che sulla trequarti si perde paurosamente), ma fra l’autore di questo blog e il Sevilla Fútbol Club le relazioni sono sempre più tese negli ultimi tempi, inutile nasconderlo.
Un tempo festival del calcio ad alta velocità, le partite degli andalusi son diventate un pasticcio sempre più indigeribile, fatto di pallonate, mischie e giocate spezzettate difficilmente sostenibili oltre che a lungo termine poco produttive. Se il premio “Qui si gioca a calciobalilla” la passata stagione fu indiscutibile appannaggio del Barça, quest’anno il Sevilla sta bruciando la concorrenza col suo piano scientifico di involuzione. Da non credere il primo tempo: reparti rigidi e senza alcuna possibilità di comunicazione, nessuno che si muove, nessuno che scali e crei una linea di passaggio decente, tutti fermi e nemmeno un grattacapo per l’Osasuna, comodissimo nelle sue posizioni ultra-difensive (solito 4-2-3-1 col solito doble pivote piatto-Vadócz al posto di Puñal ad accompagnare Nekounam-e Azpilicueta esterno alto; nel Sevilla invece la curiosità è Fernando Navarro terzino destro). Uniche risorse, il pelotazo verso quel poveretto di Kanouté (che è sì una punta in grado di fare reparto da solo, ma lo fa ancora meglio se accompagnato in maniera decente…) o le solite iniziative di Navas.
Proprio Navas ravviva il mortorio con un destro da fuori sul quale Roberto potrebbe anche fare di meglio. Da qui fino al novantesimo la partita resta sospesa in un vuoto di idee da ambo le parti, Camacho si sforza di aggiungere peso offensivo (a Portillo, subentrato a fine primo tempo all’infortunato Kike Sola, si aggiunge Pandiani, mentre Masoud prende il posto di Azpilicueta), ma a parte un’azione individuale che Masoud si divora sul più bello, nulla sembra in grado di smuovere il Sevilla dai suoi squallidi tre punti, se non l’istinto del Rifle in area di rigore.

Juande si consolida, Robben incanta. Seconda importante vittoria consecutiva per il Real Madrid di Juande Ramos: non servirà ad accorciare il distacco dal Barça, ma per l’autostima non c’è niente di meglio. Autostima che può trarre nutrimento dal buon primo tempo dei merengues, forti nei primi 45 minuti di una netta supremazia territoriale sul Villarreal.
Supremazia costruita a partire dall’ordine tattico: forse si è trattato da questo punto di vista del miglior Madrid visto finora, eccellente nell’accorciare e aggredire nella metacampo avversaria (fenomenale in particolare la coppia Pepe-Cannavaro nell’alzare la linea difensiva: meno vistoso ma efficacissimo l’italiano, spaventoso nei recuperi e nei corpo a corpo il luso-brasiliano, sul quale Giuseppe Rossi è andato immancabilmente a sbattere ad ogni tentativo di aggiramento). Conquistata la superiorità territoriale, il centrocampo ha macinato gioco con la coppia Gago-Lassana Diarra e l’aiuto di Sneijder (partito dalla sinistra: attenzione, questa potrebbe essere la sua posizione, da mezzala pura qual è è più facile e consigliabile che si trovi a partire dall’esterno con ampia libertà di svariare piuttosto che in un doble pivote).
Qui va aperta la parentesi sui nuovi acquisti, ieri per la prima volta in vetrina: bene Lass, partecipe nelle due fasi (importante che coordini bene i suoi movimenti con quelli di Gago, avendo entrambi la tendenza ad abbassarsi per prendere palla dalla difesa), dinamico, caparbio e roccioso; non sfavillante ma in prospettiva promettente Huntelaar: qualcuno forse avrà storto il naso aspettandosi chissà che cosa e maledicendo il gol mangiato davanti a Diego López, ma guardando a lungo raggio l’olandese ha evidenziato delle caratteristiche capaci di arricchire, e pure molto, le possibilità offensive madridiste. Movimenti essenziali ed efficacissimi, un punto di riferimento offensivo da subito chiaro, nelle sponde, nei movimenti ad allungare le difese e nella presenza in area avversaria, una capacità di fare reparto sicuramente superiore a quella di Raúl e Higuaín.
In un primo tempo di sicuro controllo va però detto che il Madrid ha sfondato relativamente poco. Qui tocchiamo un tasto dolente e al tempo stesso introduciamo la vera “figura” dell’attuale Real Madrid, cioè Arjen Robben. Dio lo conservi sano, perché al di là di lui non si vedono altri giocatori capaci di forzare i catenacci con la stessa devastante efficacia. Per mettere in ginocchio un Villarreal incapacitato nel proporre il suo gioco ma ordinato nel ripiegamento si è così dovuto far ricorso a un’autentica meraviglia dell’olandese, unico giocatore della rosa capace di creare la superiorità numerica e perlopiù giocatore estremamente fragile, gravissimo errore di pianificazione e punto di svantaggio sensibile rispetto al concorrente blaugrana.
Come naturale nel calcio, l’altra faccia del match è stata un Villarreal deludente, scalzato dal sesto posto e in un mediocre periodo di forma, eccessivamente in soggezione nel primo tempo. C’è qualche cosa nello stile di gioco di Pellegrini che a volte non fa tornare i conti: intendiamoci, quando il futbol de toque amarillo trova la continuità e l’ispirazione giusta è musica per le mie orecchie di appassionato, ma in determinate circostanze la sensazione è che il campo diventi troppo lungo per questa squadra.
Attenzione, non sto dicendo che il Villarreal gioca con distanze eccessive fra i reparti, è un discorso diverso: anzi, in fase di non possesso questa squadra fa sfoggio di una buona organizzazione che non sempre le viene adeguatamente riconosciuta, ma il fatto che preferisca la densità nella propria metacampo e che scarseggino i giocatori col cambio di ritmo, rende difficoltose transizioni rapide, ed impedisce al Villarreal di distendersi per tenere sul chi vive l’avversario. Lo abbiamo visto ieri e lo abbiamo visto nelle due sfide col Manchester: contro squadre che impongono una superiore intensità e che lo aggrediscono in pressing, il Villarreal fa fatica a sintonizzarsi sulle frequenze giuste e a proporre il suo calcio, non è decisamente una squadra da mordi e fuggi, e soffre (se non altro però ha sempre dimostrato di saper soffrire, spesso tenendo botta grazie alla buona organizzazione e all’ottimo livello dei suoi difensori).
Nel secondo tempo gli ospiti hanno trovato livelli più consoni, guadagnando possesso-palla e metri nella metacampo avversaria, in coincidenza con quello che Juande Ramos nel dopopartita ha definito un netto calo atletico dei suoi. Qui entra in scena il Piano B, cioè San Iker, determinante in due grandi interventi su Llorente e su un colpo di testa sottomisura di Rossi, liberissimo in area piccola. Con la propria squadra ormai incapace di aggredire come nel primo tempo, Juande ha saggiamente optato per infoltire le maglie, togliendo un Huntelaar ancora senza i novanta minuti e plasmando un centrocampo più nutrito con Drenthe esterno e Sneijder in appoggio a Raúl. Soffre di meno il Real Madrid così, anche se il Villarreal trova più idee e rimane pericoloso con Ibagaza in cabina di regia al posto di un Senna fuori partita. Pure il Submarino si allunga un po’, e così il finale è sul filo dell’equilibrio, col Madrid che ha qualche contropiede e il Villarreal che inquieta su palla inattiva prima con Godín e poi con Eguren, sottolineando un nervo tuttora scoperto della pur eccellente difesa madridista.

Con Abbondanzieri, è Uefa per il Deportivo. Comincia a stufare l’istrione che occupa la porta del Getafe: va bene la prima stagione eccellente, ma dalla scorsa in poi le sue gags hanno avuto conseguenze anche pesanti, dalla beffarda eliminazione di Uefa col Bayern fino all’ultima stupidata di ieri. Non si sa perché, su una verticalizzazione facilmente controllabile di Valerón il Pato non trova di meglio che travolgere Bodipo con un’uscita di rara goffaggine e intempestività. Sergio non crede ai propri occhi ed esegue dagli undici metri.
Senza una prodezza di questo tipo, difficilmente la partita si sarebbe mossa da una cristallina situazione di equilibrio, determinata dai gol di Bodipo (dimenticato su calcio d’angolo dalla difesa del Getafe, ieri stranamente farfallona in più di un’occasione, soprattutto sulle palle da fermo) e Manu del Moral (prodezza al volo da fuori). Parità fra due squadre solide e mai portate a buttare il pallone, un possesso-palla più propositivo da parte del Getafe e più sornione e attendista da parte del Depor. Non ruba mai l’occhio l’undici di Lotina ma non è nemmeno inguardabile, sa adattarsi a diversi tipi di partita, chiudendosi e ripartendo ma non tirandosi indietro al momento di elaborare la manovra, con giocatori di buon talento sulla trequarti che in parte limitano gli effetti negativi dell’assenza di un bomber da doppia cifra.

Le altre. Importanti novità in bassa classifica: il Recre che non ti aspetti si tira momentaneamente fuori al termine di una partita più sofferta di quanto non dica il risultato (il Numancia sbaglia addirittura due rigori con Barkero e Gorka Brit); l’Espanyol piomba al terzultimo posto, anche se c’è più da sottolineare l’occasione persa dal solito Athletic incapace di staccarsi chiaramente e prontamente dalle sabbie mobili.
Passo avanti dell’Almería (che in fondo alla classifica per potenziale non ci dovrebbe stare mai), vittorioso alla prima uscita del mito Hugo Sánchez su un Betis la cui cera pian piano sta tornando quella brutta di sempre. Pochi affanni di classifica per Málaga e Sporting, che se la giocano in una brutta partita che premia i padroni di casa, difficilmente prospettabile il loro ottavo posto a questo punto della stagione. Altra sfida di metà classifica Valladolid-Racing: a conferma di quanto siano difficilmente pronosticabili queste sfide di medio-bassa classifica della Liga, sono gli ospiti in questo caso a spuntarla, neutralizzando le armi di un Valladolid proveniente da un gran momento di forma e raccogliendo i frutti di un graditissimo ritorno, quel Nikola Zigic che in Cantabria ha già fatto storia col mitico articolo “il”composto con Munitis (ora un terzetto con l’intrusione di Pereira).

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