mercoledì, novembre 23, 2011

GUERIN SPORTIVO: La metamorfosi di Fabregas.

lunedì, novembre 21, 2011

TREDICESIMA GIORNATA: Sevilla-Athletic Bilbao 1-2

Gol: Iraola 5' (A); J. Navas 14' (S); De Marcos 71' (A).

Signori, in piedi. Marcelo Bielsa non conoscerà i suoi giocatori, però quest’Athletic comincia davvero a far stropicciare gli occhi. Un’intuizione felice del tecnico e il talento dei giocatori danno vita a una magnifica ripresa nella quale l’Athletic legittima tre punti pesantissimi. Non è una squadra impeccabile in tutti i momenti della partita e in tutte le fasi del gioco (di fatto, il primo tempo non è stato granchè), ma propone sempre, e sempre di più crede in quello che fa. Discorso opposto per il Sevilla, una bugia di inizio campionato che pian piano sta venendo smascherata.

Avevano cominciato imbattuti, ma ora son già 5 partite che gli andalusi non vincono (compresi risultati da arrossire come la sconfitta casalinga col Granada e il pareggio casalingo col Racing…2-2 in casa col Racing!!!). Non mancano note positive nel lavoro di Marcelino, soprattutto sulla fase difensiva (magistrale a tal proposito la prova al Camp Nou), ma il problema di questo tecnico e del Sevilla del dopo Juande Ramos rimane il solito: attaccare una difesa schierata.

Bielsa rispolvera il 3-3-1-3 già visto, con risultati negativi, contro Málaga e Villarreal. Forse la difesa a 3 risponde all’esigenza di avere l’uomo in più per coprire in seconda battuta sull’attacco del Sevilla, che da sempre si caratterizza per premere molto con le due punte sui centrali avversari (senza per questo dimenticare il sontuoso lavoro tra le linee di Kanouté). San José da “libero” fra Aurtenetxe e Javi Martínez (ancora una volta difensore…), la novità Iñigo Pérez davanti alla difesa mentre Marcelino deve fare a meno solo di Medel rispetto alla formazione-tipo.

Il primo tempo diverte per l’alternanza di attacchi sui due fronti, ma nessuno controlla veramente il gioco. L’Athletic fatica a dare continuità al suo possesso-palla: i tre difensori dovrebbero allargarsi un po’ di più a inizio azione e consentire alla squadra di guadagnare più appoggi centralmente, ma troppo spesso l’Athletic ricorre alla verticalizzazione precipitosa o al lancio, coinvolgendo Ander Herrera soltanto in un paio di sporadiche iniziative sulla trequarti.

Se non tieni palla a dovere, il 3-3-1-3 risulta poi ancora più esigente sul piano difensivo: si inizia dal pressing “a uomo” tipico del Loco (un aspetto del suo gioco che non mi fa impazzire), e si finisce col rischio che Iraola e De Marcos si schiaccino troppo sulla propria difesa, dovendo seguire nientepopodimenochè Navas e Perotti. La vulnerabilità principale di questa difesa “a uomo nella zona” di Bielsa è una maggiore esposizione a sovrapposizioni e inserimenti dalle retrovie.

Fortunatamente per i baschi, la “manovra” del Sevilla è talmente limitata da non costringere gli esterni zurigorri a correre più di tanto all’indietro (a parte il gol di Navas). Gli andalusi, non necessariamente usando la palla alta (anzi, usandola poco) saltano quasi sempre il centrocampo: non hanno veri registi in mezzo al campo, quindi giocano direttamente sugli attaccanti, e da lì cercano di innescare le incursioni di Trochowski o allargare per le due ali. Palloni frontali, terzini quasi mai avanti, poche variazioni che permettano di cambiare fronte e sorprendere l’avversario sul suo teorico lato debole. Un gol per parte, gara piacevole, ma attacchi troppo brevi da entrambe le parti.

Nella ripresa, passati dieci minuti iniziali in cui le squadre sembrano allungarsi, Bielsa e Muniain decidono di vincere la partita. Il Loco mantiene il modulo, ma lo ritocca pesantemente: nel suo 3-3-1-3 solitamente gli esterni di centrocampo devono anche stringere centralmente, ma ora De Marcos resta fisso largo. In questo modo Susaeta (poi entrerà Gabilondo) ha più libertà per accentrarsi, ma il vero terremoto lo provoca l’accentramento di Muniain, che abbandona quasi completamente la fascia (seguire Fernando Navarro non è tutta questa priorità) per avvicinarsi ad Ander Herrera. In questo modo l’Athletic guadagna la superiorità tra le linee e più in generale a centrocampo, e pian piano comincia a mangiucchiarsi il Sevilla.

Muniain accentrato è l’arma più micidiale per lanciare i ribaltamenti quando il Sevilla lascia spazio, mentre la vicinanza ad Ander Herrera consente un possesso-palla molto più continuo e dà possibilità a tutta la squadra di occupare meglio la metacampo avversaria. Un paio di occasioni d’avvertimento e poi il meritatissimo gol del vantaggio, che nonostante l’errore di Spahić e il fortunoso rimpallo che spalanca la porta a De Marcos, nasce proprio dai movimenti tra le linee di Muniain, Herrera e anche Gabilondo.

Forse ancora migliore del modo in cui l’Athletic si prende il vantaggio è il modo in cui lo gestisce: a poco valgono i cambi di Marcelino (nonostante la buona volontà di Rakitić), perché l’Athletic nasconde il pallone e addormenta la partita senza rinunciare a mordere quando opportuno: il terzo gol si avvicina in più di un’occasione, e ci starebbe tutto.

I MIGLIORI: Muniain incontenibile. Una volta liberato dalla fascia, nel vivo del gioco, ha vinto la partita quasi da solo, saltando i birilli palla al piede e imbucando palloni millimetrici per gli attaccanti. L’unica cosa da definire è la sua posizione, e in particolare la posizione che permetta di massimizzare il rendimento sia suo che di Ander Herrera. Il miglior Muniain lo abbiamo visto al centro, ma questo rendimento è coinciso con l’infortunio di Ander: in quella fase, Iker ne rilevò le funzioni, pur con caratteristiche diverse, dimostrando grandi capacità anche muovendosi dietro la linea della palla, anche dirigendo la manovra oltre che accelerando sulla trequarti. Quasi un Muniain “alla Iniesta”, insomma. Col ritorno di Ander Muniain è tornato sulla fascia, e pur con un rendimento generale sempre ottimo, la sua presenza nella manovra ha perso continuità. Da qui l’esigenza di riavvicinarlo ad Herrera: mossa intravista per pochi minuti a Gijón, con i due mezzeali in un 4-3-3 (ma qui è da verificare la tenuta difensiva), vista appieno e gustata nella ripresa di ieri. Llorente resta il giocatore più importante (e il meno sostituibile), ma il salto di qualità del progetto dipende da questi due.

Solito arrembante e inesauribile De Marcos (ovunque lo metti, attacca lo spazio per tutti i 90 minuti), sorpresa Iñigo Pérez: scartato da Bielsa nel precampionato, recuperato ed esposto ad indebiti imbarazzi contro l’Espanyol nell’improbabile posizione di terzino sinistro, ieri è invece piaciuto davanti alla difesa (personalmente, più di Iturraspe quando viene impiegato nella stessa posizione). Gioco semplice, il minimo indispensabile di tocchi, buon posizionamento e visione di gioco anche per tentare il passaggio filtrante col suo buon sinistro. San José nettamente il più sicuro dei tre difensori, puntualissimo nelle coperture e pulito nei rilanci. Bielsa tende a preferirgli Amorebieta ed Ekiza, ma il migliore a mio avviso è lui.

I PEGGIORI: Disastroso il duo Fazio-Trochowski, Javi Martínez invece rappresenta l’unica nota un po’ stonata nel grande momento dell’Athletic: sballottato fra centrocampo e difesa, non ha ancora trovato il suo habitat. Nel primo tempo si fa quasi sempre anticipare da Negredo o Kanouté quando vengono a raccogliere il lancio dalla difesa. Chiaramente non ha i tempi e le misure del difensore di ruolo, anche se nella ripresa soffre di meno quando l’Athletic controlla meglio il pallone e le transizioni fra le due fasi.

Sevilla FC (4-4-2): Javi Varas; Martín Cáceres, Spahic, Escudé, Fernando Navarro; Jesús Navas, Fazio, Trochowski (Rakitic, m.67), Perotti (Armenteros, m.71); Kanouté y Negredo (Del Moral, m.64).

Athletic Club (3-3-1-3): Iraizoz; Javi Martínez, San José, Aurtenetxe, Iraola, Íñigo Pérez (Ramalho, m.87), De Marcos; Ander Herrera; Susaeta (Gabilondo, m.67), Llorente (Toquero, m.89), Muniain.


Goles: 0-1, M.05: Iraola. 1-1, M.14: Jesús Navas. 1-2, M.71: De Marcos.


Árbitro: Miguel Ángel Ayza Gámez (Comité Valenciano). Amonestó a los locales Fernando Navarro (m.27) y Spahic (m.90) y a los visitantes De Marcos (m.43) y San José (m.47).

Incidencias: Partido disputado en el estadio Ramón Sánchez Pizjuán ante algo más de treinta mil espectadores. Terreno en buenas condiciones pese a la lluvia que cayó durante todo el día. Antes del inicio, en el saludo de los jugadores, se enseñó una pancarta contra la violencia de género y los futbolistas del Athletic saltaron con una camiseta de apoyo a Aitor Ocio, lesionado recientemente

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martedì, novembre 15, 2011

GUERIN SPORTIVO: Perseverare è diabolico (anche se vinci un mondiale).

mercoledì, novembre 02, 2011

Un altro Valencia ERA possibile.

La vittoria di ieri tiene in piedi il Valencia, ma a monopolizzare le attenzioni, e soprattutto le preoccupazioni, è l’infortunio di Banega. Si temeva di peggio, 6 mesi come Canales, e invece sarà solo un mese e mezzo. L’importanza di questo mese e mezzo è capitale però. Ci si gioca mezza stagione, in particolare il dentro o fuori dal girone di Champions, con la difficilissima trasferta sul campo del Chelsea come ultimo e decisivo impegno.

La partita con il Bayer Leverkusen, e l’ingannevole 3-1 finale, fotografano alla perfezione la dipendenza da Banega di tutta la squadra. Regalo del primo gol a parte, il Valencia stava controllando serenamente la gara, superando una volta e l’altra il tentativo di pressing alto del Leverkusen. Portando palla coi suoi ottimi centrali Rami e Víctor Ruiz, affidandola poi a Banega che faceva filtrare tutti passaggi che voleva tra le linee, senza contare la facilità nel verticalizzare alle spalle dei difensori centrali tedeschi, oggettivamente imbarazzanti.

Poi, crac!, in senso reale per Banega e in senso metaforico per tutta la squadra. Da lì fino al 90’ il Valencia non ha più costruito una sola situazione di superiorità sin dalle retrovie. Inutile la coppia di centrocampo d’emergenza, Topal più il subentrato Tino Costa: più due sagome di cartone messe lì che due appoggi per i difensori e per i trequartisti. Il Leverkusen ha abbassato il baricentro senza soffrire, vedendo raramente superata la sua prima linea e con la possibilità di ripartire con frequenza, data la discontinuità della manovra valenciana.

Il peso della costruzione del gioco si è spostato tutto sui piedi di Rami e Víctor Ruiz, diventati un po’ prevedibili, perché pur avendo il piede per dare il passaggio verticale o cambiare gioco verso le fasce non avevano il sostegno decisivo di un giocatore che a centrocampo potesse cambiare i tempi e la direzione al gioco. Quello che non può essere Tino Costa: giocatore tecnico, dall’ottimo sinistro, ma senza le qualità del regista. Bravo a dare continuità alla manovra, a muoversi per creare linee di passaggio e a triangolare, ma non a dirigerla. Per dare un’idea, Tino Costa sta a Banega come Busquets e Keita stanno a Xavi.

La parola ad Unai Emery: “Ultimamente, la squadra era monopolizzata da Ever Banega: dettava i tempi per avanzare superando le linee avversarie, e il suo infortunio ha rappresentato un netto arresto. Però esistono altre maniere per vincere, forse non così lucide. La squadra lo ha accusato, però si è rifatta. Dobbiamo renderci indipendenti da Banega. Dobbiamo fare un passo avanti con Tino Costa e Parejo. Ci sono altre vie"

Per usare le parole di un altro tecnico (attualmente disoccupato), Juanma Lillo, Banega è il “toma-tiempos”, quello cioè che sa prendersi tutto il tempo possibile per far maturare l’azione. Temporeggia per attirare su di sé avversari e liberare i compagni lasciati così incustoditi, temporeggia per far salire tutta la sua squadra, che così sarà più compatta anche per recuperare il pallone. Quando è in forma (e quando soprattutto ne ha voglia…), è uno dei giocatori più determinanti di tutto il campionato spagnolo. Sicuramente uno dei 5 migliori di quest’inizio di Liga, il “simil-Xavi” che nessun’altra squadra, nemmeno il Real Madrid, ha.

Il suo rendimento, unito all’inserimento di Canales, faceva presagire un Valencia in grado di controllare sempre meglio i tempi del gioco. Invece, prima l’infortunio di Canales fino al termine della stagione (l’ex madridista comunque non aveva ancora acquisito un peso determinante) e ora questo ci costringeranno nel mese e mezzo decisivo a vedere un Valencia molto più simile agli anni passati.

Un Valencia che avrà difficoltà a uscire ordinatamente dalla sua metacampo ad inizio azione, e che sarà costretto a transizioni (transizione nel senso corretto del termine “passaggio da fase difensiva a offensiva e viceversa”, e non come sinonimo di “contropiede”…) meno fluide, meno controllate e più forzate. Un Valencia che difficilmente potrà risultare corto ed equilibrato a partire dal possesso-palla, ma solo affidandosi a strategie diverse, tipo ripiegare o pressare in blocco e poi ripartire in contropiede. Strategie che logicamente dipendono più dall’atteggiamento dall’avversario (perché se l’avversario decide di rinunciare al possesso-palla sei tu che devi giocarla e magari allungarti, se non hai gli interpreti giusti), mentre i giocatori come Banega ti permettono di dipendere da te stesso, con l’inconveniente che tu arrivi a dipendere eccessivamente da loro, come in questo caso.

Rimane un’incognita in tutta questa faccenda,e cioè Daniel Parejo. Scartato Tino Costa, l’unico giocatore con le caratteristiche per surrogare Banega, eppure ad oggi lontano dal risultare credibile. Utilizzato col contagocce finora da Emery, quasi ostracizzato, ha come grave controindicazione un carisma prossimo allo zero che lo porta a defilarsi dalle partite pur possedendo le qualità per influenzarne gli sviluppi. In Champions finora ha giocato solo una volta, e non a caso nello 0-0 a Genk, dove il Valencia (con un 4-1-4-1, Banega e Parejo mezzeali) propose un possesso-palla decisamente sterile.

FOTO: elpais.com

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